Giornalismo, è tempo di rivoluzioni

È un programma ricchissimo di grandi nomi e appuntamenti quello della quarta edizione del Festival internazionale del giornalismo, che si svolgerà a Perugia dal 21 al 25 aprile. Si parlerà dello stato attuale e del futuro del giornalismo, delle sue forme, di giornali universitari e nuovi media. Mostre e spettacoli teatrali faranno da contorno a dibattiti, workshop e convegni. Ne abbiamo parlato con Arianna Ciccone, organizzatrice del Festival insieme a Christopher Potter, in un’intervista che è stata trasmessa su Radio Zammù lunedì alle 13.

Leggendo il programma, il Festival appare come un momento di confronto tra specialisti dell’informazione, un’occasione per informare e sollecitare lo spirito critico dei visitatori-fruitori e un’opportunità di formazione per chi vuole fare il giornalista. Dimentichiamo qualcosa? E c’è un punto che quest’anno prevale sugli altri, seppur tutti ovviamente complementari?

«No, un punto che prevale no. Il concetto che secondo me accompagna gli altri è sicuramente l’informazione con la sua connessione fondamentale con la democrazia: quanto è importante il giornalismo nella democrazia, quanto è importante valutare una stampa libera, perché più libera, forte e indipendente è la stampa, più forte e libera è una democrazia».

 

Quali sono le novità rispetto alle edizioni precedenti? E quali gli elementi che rimangono costanti, proprio perché fondanti del Festival?

«Il format ha funzionato talmente bene dal primo anno che non abbiamo fatto altro che ripeterlo, magari rafforzandolo. La vera novità è il fatto che il festival continua a crescere enormemente in termini di ospiti, giornalisti ed esperti che arrivano da tutto il mondo e in termini anche di volontari che arrivano da tutto il mondo per sostenerlo e dare una mano».

 

Quanti sono i volontari quest’anno?

«Duecentosessanta».

 

Molti degli incontri in programma sono dedicati al futuro del giornalismo, al suo rapporto con i nuovi media e la tecnologia, come quella digitale, e conseguentemente al nuovo modo di fare informazione. Qual è la fotografia del presente del giornalismo che, secondo te, verrà fuori da questo Festival?

«Io penso che noi siamo dentro a una gigantesca e meravigliosa rivoluzione per quanto riguarda l’informazione. Credo che la chiave sia accettare che gli strumenti e i modi di fare informazione possono cambiare. Come disse l’anno scorso Sergio Romano, la fame di informazione e giornalismo da parte dei cittadini rimarrà eterna. L’informazione è fondamentale per il nostro stare insieme, per una società civile:senza informazione non c’è democrazia. L’esigenza di conoscere i fatti è parte indispensabile di una società. Poi, cambiano le modalità, ma non credo che qualche mezzo possa sostituirne un altro, si tratta solo di arricchimento».

 

Quest’anno c’è una novità legata proprio ai nuovi media e all’uso del social networking: Media 140. Cos’è esattamente?

«Media 140 è un tour mondiale partito da Londra per parlare di queste nuove forme di comunicazione e condivisione che sono appunto i social networkTwitter e Facebook su tutti. Ha fatto varie tappe in tutto il mondo e in Italia approda, grazie al Festival del giornalismo, a Perugia. È un’opportunità per incontrare le massime personalità di questo settore. La formula di tutto il Festival è 2.0, non c’è un comitato scientifico, solo questioni, tematiche e argomenti su cui confrontarsi. È un festival aperto, tutti contribuiscono, non ci sono scrivanie che separano il professore dagli studenti, ma siamo tutti studenti che hanno bisogno di imparare e confrontarsi».

 

Informazione gratis su internet o paghiamo tutti ma paghiamo poco? Verso quali nuovi modelli di business stiamo andando?

«Credo che su questo nessuno abbia ancora ben chiare le idee. Neanche Rupert Murdoch che ogni tanto se ne esce con questa storia che i giornali si pagheranno e poi puntualmente fa marcia indietro. Credo che sia una cosa su cui si sta ragionando e che necessiti del confronto continuo tra editori, giornalisti e lettori. Non può esserci una riflessione a senso unico, ma c’è bisogno di tutti».

 

Certo, soprattutto dei lettori che alla fine sono quelli che decidono…

«Saranno loro a decretare il successo o meno di quel modello, quindi è fondamentale capire verso dove si muove il pubblico, come si orienta. Pensiamo al Wall Street Journal, che online è già a pagamento. Ciò dimostra che c’è la predisposizione del pubblico a pagare quella che è informazione di qualità. Sicuramente ci saranno nuovi modelli di business che in qualche modo aiuteranno una forma di giornalismo sempre migliore».

 

Tornando ai temi del Festival, quest’anno una sezione del programma è dedicata all’argomento“Donne media e potere”. Alla luce di quello che succede nel nostro Paese, sembra un tema molto “italiano”. Quale sarà il punto di partenza del dibattito? Sarà un confronto Italia-estero?

«Sì, in tutti e quattro gli incontri è previsto il confronto. Csaranno giornaliste che rappresentano altri Paesi. Il punto fondamentale da cui partire, secondo me, è l’uso del corpo delle donne che si fa nei media. È su questo che ci giochiamo la dignità di giornalisti, di cittadini e di donne».

 

L’ambiente, l’ecologia, il sociale, la salute, l’alimentazione sono temi centrali del Festival. Non sempre però sono sulle prime pagine dei giornali o nei tg. Quale credi sia la ragione?

«È responsabilità dei media main stream, sono loro a dettare l’agenda e che dovrebbero occuparsi di quello che riguarda gli interessi e le problematiche delle persone. Però, credo che negli ultimi tempi sul tema dell’ambiente, dell’ecologia, dell’energia sostenibile si stia scrivendo molto sui giornali e anche su Internet».

 

Ci saranno diversi appuntamenti sull’Italia e gli italiani, come “Questo non è un paese per giovani” o “Discussione pubblica sugli italiani”. Saranno incontri per capire meglio chi siamo e verso dove andiamo?

«Sì, e a questi aggiungo la guerra dei trent’anni sulla televisione: parleremo del conflitto d‘interessi e della guerra che in politica si è fatta anche utilizzando i media».

 

I giornali universitari negli ultimi anni si sono fatti conoscere ed apprezzare per la capacità di fare informazione. Credi che potranno trovare spazio sul mercato? O rimarranno laboratori per la formazione?

«Dipende moltissimo dalle iniziative dei gruppi che si formano attorno a questi giornali. Io vedo tantissima energia, tantissima capacità di proporre, di darsi da fare, di realizzare e di ideare. Quindi sta tutto nelle mani di chi si dedica a queste cose. Se c’è la tenacia e la determinazione, può diventare un mercato anche quello».

 

Ci sarà un incontro dal titolo “La radio, la mamma di tutte le all newsEppure, il giornalismo radiofonico in Italia sembra essere la forma più trascurata rispetto a quella degli altri media. Qual è il futuro della “scatola parlante”?

«Dipende dalla capacità di stare dietro al nuovo. Mi ricordo un incontro dell’anno scorso su come la radio ha dimostrato di poter fare buon giornalismo, anche rispetto ai media tradizionali. La radio in un momento di crisi per il giornalismo della carta stampata continua, comunque, ad andare benissimo. Non si tratta solo di vecchio o nuovo, si tratta di come si fa, di come si utilizza un mezzo, radio inclusa». Poi c’è questa novità straordinaria delle radio Web. Tra l’altro al Festival avremo la nostra che è curata da Reset Radio, e ci saranno tante radio in diretta: Radio Uno, Radio Capital, i ragazzi dell’università di Perugia con Radiophonica. Di radio è pieno anche il Festival: è uno strumento così affascinante che non può mancare quando si parla di giornalismo».

 

Il Festival ha un programma ricco di appuntamenti, incontri con grandi nomi del giornalismo e tematiche di alto interesse quindi. Quali sono, secondo te, gli appuntamenti imperdibili?

«È difficile dirlo. Una cosa che ho voluto io è l’incontro con Scalfari, Veltroni, Tornatore e Michele Serra. Parleremo di futuro, dell’importanza che ha la memoria del passato nel costruire il futuro del Paese. È l’appuntamento che chiude il Festival ed è, secondo me, imperdibile per guardare al futuro. Poi sabato avremo Al Gore, ma non vi dico nulla di nuovo, questo lo sanno tutti».

 

Di recente ti abbiamo vista protagonista della protesta contro il TG1. Ti aspettavi una partecipazione così ampia?E quali sono state le reazioni del Consiglio d’Amministrazione RAI?

«Quello che mi ha colpito del Consiglio d’amministrazione e dei vertici Rai è il silenzio. Io credo che quando un cittadino chiede gentilmente una rettifica e la rettifica non arriva, e non solo non arriva la rettifica, ma non arriva nemmeno una risposta, sia grave. È grave perché non lo si rispetta e  non gli si dàdignità d’esistenza. È un dovere dell’informazione pubblica dare una risposta al cittadino. Quando poi questo la chiede in rappresentanza di altri 200.000 mila persone che hanno sottoscritto quella richiesta, credo che alla vergogna si sommi altra vergogna. Ovviamente, vista la situazione che si è creata intorno a una notizia sbagliata (riguardo alla prescrizione dell’avvocato Mills, dato per assolto, ndr) del principale telegiornale della Rai – notizia, che non essendo stata rettificata, possiamo ormai considerare falsa e non sbagliata – beh, di fronte ad una cosa del genere è evidente che i partiti dentro la Rai non ci devono stare».

 

A proposito di RAI e TG, cosa pensi dell’allontanamento dalla conduzione del TG1 di Tiziana Ferrario, Piero Damosso e Paolo Di Giannantonio?

«Penso che il direttore possa fare quello che vuole, nel senso che prendere delle decisioni è nei suoi poteri ed è giusto che sia così. Spero che la motivazione sia quella di rinnovare il telegiornale, se ce ne sono altre e sono quelle che hanno dichiarato la Busi, Dalmosso o la Ferrario, penso che sia grave».

 

Quest’anno il Pulitzer per il giornalismo investigativo è stato assegnato a una testata onlinesenza scopo di lucro. Sono due caratteristiche “nuove”. Che valore dai a questa scelta?

«Mi piace ricordare che il fondatore di Propublica, che è il giornale online che ha vinto il premio Pulitzer, Paul Steiger sarà ospite del giornalismo e terrà il suo Keynote speech venerdì mattina. Lui è stato il direttore storico del Wall Street Journal. Questo fa ben capire che chi ha fatto la storia del giornalismo può portarci anche nel futuro del giornalismo. Penso che il premio Pulitzer dato ad una testata no profit che lavora esclusivamente on-line sia una rivoluzione, l’inizio di una rivoluzione. Questo vuol dire anche tantissime possibilità per i giovani che vogliono fare questo mestiere e che non inseguono il mito, tra l’altro secondo me frustrante, dell’assunzione nelle testate tradizionali. Basta il talento, la voglia e la passione per questa professione e ovviamente tanta tenacia e tanta testardaggine, però si può fare».

Ascolta il file audio dell’intervista


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