Giornalismo: c’è grossa crisi

La crisi – economica, ma non solo – dell’informazione, il mondo dell’inchiesta, la differenza tra il buon giornalismo e lo sciacallaggio di Avetrana. Questi alcuni dei temi affrontati da due importanti giornalisti, Alessandro Cannavò e Nino Milazzo. Il caporedattore del Corriere della Sera e l’ex condirettore de La Sicilia e vicedirettore dello stesso Corriere sono stati gli ospiti del primo dei due incontri dedicati al giornalismo nell’ambito del festival DeScritto in corso in questi giorni a Catania, nell’ex Monastero dei Benedettini. In un aula gremita da studenti universitari – alcuni, a dire il vero, più attirati dalla possibilità di ottenere un attestato di partecipazione – i due giornalisti hanno tenuto una lezione partecipata, informale e molto lucida.

Introdotti da Salvatore La Porta (uno degli organizzatori del festival) e Marella Ferrera (stilista e assessore del comune di Catania), l’incontro è iniziato con un tema di stretta attualità: «Parlare di editoria oggi significa parlare di crisi» afferma Nino Milazzo. Il settore vive in questi anni una crisi fatta di bilanci in rosso, licenziamenti, e concorrenze spietate per una fetta di quel mercato pubblicitario tenacemente conteso alla televisione. In Italia la situazione è anche peggiore. Prepensionamenti e riduzione degli organici delle redazioni sono all’ordine del giorno. «Si avverte una profonda crisi anche della professione» continua l’ex condirettore de La Sicilia. «Il giornalismo ha mutuato i vizi della politica e dei partiti. Abbiamo scambiato il bipolarismo per una logica perversa di scontro e il giornalismo è rimasto coinvolto». È d’accordo con questa analisi Alessandro Cannavò, che aggiunge: «il bipolarismo si è trasmesso anche ai lettori. Si sta con la maggioranza o con l’opposizione, dunque si cerca di soddisfare il bisogno espresso da una o dall’altra parte».

La situazione politica degli ultimi vent’anni ha fortemente influenzato ovviamente anche il mondo dell’informazione. Una delle conseguenze peggiori, secondo Milazzo, è stato un «fenomeno devastante, la scomparsa del cosiddetto “editore puro”». Quando interessi politici ed economici si intrecciano alla possibilità di informare o meno l’opinione pubblica, è la stessa democrazia ad essere in pericolo. Una possibilità di riscatto è però possibile: «I piccoli giornali indipendenti riempiono questo vuoto. La moltiplicazione delle iniziative editoriali è vitale in un paese democratico». Il tema è molto caro a Milazzo, come ha raccontato qualche tempo fa al nostro giornale. «Nessun editore ha il diritto di privatizzare l’informazione. Omettere o strumentalizzare le notizie è un delitto».

La concorrenza dei nuovi media ha messo in crisi il mondo dell’editoria così come veniva inteso fino a qualche anno fa, ma secondo Alessandro Cannavò «la carta stampata ha un futuro se affiancata ai nuovi media. Oggi, se si cerca l’approfondimento, si compra ancora il quotidiano cartaceo». Magari cambierà il supporto – l’i-pad o la carta digitale – ma il concetto, secondo il caporedattore del Corriere, resisterà. Anche Milazzo è dello stesso avviso: «Se vogliamo sapere davvero le cose, se vogliamo capire origini, sviluppi e prospettive, bisogna sempre utilizzare questo strumento, il quotidiano».

Il tema dell’inchiesta permette di parlare di quali sono gli argomenti che più mancano ai grandi media e che per questa ragione sono i più ricercati dalle redazioni così come dai lettori. «C’è una fame, un bisogno di raccontare la vita locale, quella lontana dai riflettori» afferma Cannavò. «È qui, nelle piccole realtà, che si possono trovare sbocchi per lavorare e raccontare». Con lui concorda Milazzo: «C’è un immenso spazio globale, ma si avverte il bisogno di trovare se stessi nel locale». In questa maniera si possono anche abbattere i costi – a volte alti – della produzione di inchieste. «L’inchiesta non è più legata ai grandi viaggi, ai racconti della terza pagina. Prima il mondo era ancora da scoprire; oggi invece non conosciamo più le nostre città. Io, ad esempio, voglio sapere di più di Catania».

L’attualità, con il caso-limite di Avetrana, si fa spazio durante l’incontro. «La linea di demarcazione tra buona e cattiva cronaca è la coscienza professionale. In questo tipo di degenerazione, la colpa principale è della televisione: il giornalismo ne ha cooptato i mezzi, i meccanismi, ed è peggiorato» spiega Nino Milazzo.
A questo tema è per molti versi legato anche il concetto di obiettività. Secondo Alessandro Cannavò «L’oggettività assoluta non esiste. La cosa importante è l’onestà». A questo l’ex condirettore de La Sicilia aggiunge una precisazione: «Bisogna distinguere l’opinione dai fatti, far capire a chi legge quali sono gli uni e quali sono gli altri».

Una delle ultime domande fatte dagli studenti è forse quella che in molti avevano maggiormente a cuore. A Nino Milazzo viene chiesto se è possibile fare il mestiere di giornalista a Catania. La risposta è netta, quasi brusca. «Consiglio di andare via. È un consiglio che nasce dalla mia esperienza e dalla mia consapevolezza».

La consapevolezza di chi ha condiviso la direzione de La Sicilia. L’esperienza di chi si è dimesso dalla direzione di Telecolor.

Foto di Melania Mertoli


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