Riproponiamo una parte dellintervista di Alice Avila al professor Ortoleva, ordinario di storia dei mezzi di comunicazione alluniversità di Torino. Peppino Ortoleva, uno dei maggiori studiosi di storia dei media, è stato la primavera scorsa tra gli ospiti del Festival Nazionale delle Radio Universitarie organizzato da Rad-Uni e da Radio Zammù
Giornali studenteschi, radio, TV dateneo: «Di chi devono essere voce?»
Quando parliamo di radio universitarie, esaltandone le potenzialità in senso creativo, non c’è una contraddizione? L’appartenenza di una radio o di una TV all’istituzione universitaria comporta infatti una certa dose di ufficialità. Non crede che essere “la voce dell’ateneo” possa condizionare il rapporto che i media universitari stabiliscono col proprio pubblico?
La radio universitaria può essere percepita come voce istituzionale di un ente e come strumento di relazioni esterne, un’appendice dell’ufficio comunicazione. E’ un rischio che esiste anche per altri mezzi d’informazione: dalle riviste in carta patinata ai primi esperimenti di televisioni d’ateneo. Ciò non toglie nulla alle qualità professionali o amatoriali di chi ci lavora, ma si tratta di un modello che condiziona fortemente il rapporto col pubblico e che potrebbe essere mortificante, sia dal punto di vista della credibilità, sia dal punto di vista del carattere dialogante. In senso metaforico ogni radio è sempre la voce di qualcuno. Ad esempio RadioRai è abbastanza ufficiosa, una voce delle istituzioni (magari in qualche momento potrà esserlo in modo meno evidente ma lo è). Con la nascita delle radio universitarie dobbiamo porci il problema: “Di chi devono essere voce?”.
Ci sono altre possibilità?
C’è chi parla di “radio degli studenti”. Si tratta di un’espressione tipica del mondo anglosassone. Io non la amo particolarmente perché gli studenti poi se ne vanno, finito il corso di studi, e si ricomincia daccapo. La “radio degli studenti” rischia perciò di essere l’opposto dei media istituzionali: una voce goliardica nel senso originario del termine. Oppure ci potrebbe essere la “radio dei docenti”, come in parte lo è già la nostra, all’università di Torino (credo di essere stato il primo professore che ha trasmesso in broadcasting un corso). Ma penso che neanche questa sia la soluzione migliore. La cosa più importante mi pare stabilire che una radio universitaria non deve essere la voce del rettore. Le radio universitarie devono avere una funzione di ‘radio universitas’. Uso il latino per significare la piena assunzione di un modello di università intesa come luogo di scambio, di discussione anche aspra, ma finalizzata a un obiettivo comune: l’avanzamento della conoscenza.
– Vai al testo integrale dell’intervista (2 giugno 2008)
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