Gino Astorina e la catanesità giorno e notte «La città ci appartiene, gli incivili siamo noi»

Catania raccontata da un catanese doc. Gino Astorina, classe 1956, noto attore e conduttore nonché componente del gruppo di cabaret Il gatto blu, spiega il suo legame con la città dell’elefante: «La mia non è una relazione di odio o di amore, è uguale a quando avevo 18 o 32 anni, l’ho sempre amata». Piena di problemi, ma allo stesso tempo vivace e vitale, Astorina risolverebbe questa dualità con un desiderio semplice: «Vorrei che ci fosse lo stimolo a fare qualcosa per lei, soprattutto da parte dei suoi abitanti. Di base c’è l’amore da parte mia per una città che offre tantissimo e che non si tarpa le ali».

L’attore si sofferma sul senso di civiltà dei catanesi: «Vorrei migliorare tanto di Catania, ma bisognerebbe partire dall’inizio. Quando andavo a scuola si studiava l’educazione civica, ci venivano fornite delle risposte a domande che oggi fatichiamo a comprendere. Uscendo dalle nostre abitazioni – spiega – non finisce la proprietà di ciò che ci appartiene. La fontana, la panchina, il marciapiede sono nostre». Un concetto che non sembra essere troppo diffuso all’ombra del Liotro. «In questa città la colpa è sempre degli altri ma, se è sporca, vuol dire che io cittadino non ho agevolato il lavoro di chi dovrebbe renderla pulita».

Se da un lato Catania andrebbe migliorata, per l’attore basterebbe ripartire dalle risorse che ha già. «Avere così tante cose e non poterle curare, fa sì che si deteriorino». La lista di Astorina è lunga: le Terme Achilliane, il Teatro Greco Romano, via Crociferi, via Etnea, il giardino Bellini, la fontana dell’Amenano, «il barocco sotto ogni balcone». «Ma non siamo bravi a valorizzare tutto ciò – spiega – Ad esempio, mettere le papere di ferro alla villa Bellini al posto di quelle vere è come mettere i pupi del calcio balilla allo stadio in sostituzione dei calciatori». Un’occasione sprecata che, secondo il comico, non riguarda solo i beni archeologici: «Dalla zona industriale sino ad arrivare al porto, non si vede il mare; tutto è coperto da alberi e cemento».

Nell’analisi sentimentale di Astorina non mancano i riferimenti storico-letterari. «Brancati parlava degli ingravida balconi, quei giovani vitali che ammiravano le ragazze affacciate. Oggi però la bellezza di quel gesto si è persa, perché sostituita e deturpata dalle coperture e dallo smog. Al posto delle ragazze al balcone ci sono le cosiddette mutande verdi, le recinzioni che servono per non far vedere il calcinaccio che cade».

Una città che si mostra poco attraente, almeno fino al calare della sera. «D’estate, a mia, Catania mi piaci chiu assai, forse perché la vivo di notte». Con questa frase pubblicata in un post su Facebook, l’artista descrive il suo rapporto con il capoluogo etneo al chiaro di luna. «Mi piace quando s’impossessa dei suoi ritmi e dei suoni. C’è una frenesia diversa rispetto al giorno, si ha la possibilità di avere un’altra visione e percezione. Proprio la notte – continua – mi fa pensare che la mia città sia bellissima».

Oggi come ieri. «Non ho nostalgia della Catania raggiante di un tempo; vivo di rimorsi ma non di rimpianti – racconta l’attore – Quando avevo 18 anni ero felice di averli, oggi vivo felicemente i miei anni e mi godo la vita». E se fosse sindaco per un giorno? «Non mi piacerebbe, ma emanerei un’ordinanza secondo cui ognuno deve fare il proprio lavoro senza abbandonarlo. Così eviterei che io possa fare il sindaco».


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