Gianfranco Fini, Montecarlo e il catanese re delle slot Francesco Corallo da accusa di frode alla casa di An

C’è un filo che lega Francesco Corallo, il catanese re delle slot machine con amico di famiglia Nitto Santapaola, ai parenti di Elisabetta Tulliani, la compagna dell’ex presidente della Camera Gianfranco Fini. È l’ultimo sviluppo dell’inchiesta Rouge et noir, che a dicembre 2016 aveva portato all’arresto di Corallo nella sua lussuosa villa di Saint Martin, ai Caraibi. L’inchiesta questa mattina si arricchisce di un nuovo tassello: il sequestro preventivo di circa cinque milioni di euro – per riciclaggio, reimpiego e autoriciclaggio, a partire dal 2008 – nei confronti di Elisabetta Tulliani, del padre Sergio e del fratello Giancarlo. Oltre che l’avviso di garanzia che sarebbe stato notificato questa mattina proprio all’ex leader di Alleanza nazionale, accusato di concorso in riciclaggio.

Secondo l’accusa, dopo avere ricevuto da Corallo ingenti somme di denaro, direttamente «o tramite le loro società offshore», i Tulliani avrebbero contribuito a trasferire e nascondere i soldi. In un giro di «vorticose operazioni» in cui sarebbe finito anche l’appartamento di Montecarlo: donato nel 1999 dalla contessa romana Anna Maria Colleoni ad Alleanza Nazionale, è stato poi venduto ad alcune società caraibiche ritenute collegate alla famiglia di Fini, e subito affittato a Giancarlo Tulliani, fratello di Elisabetta e figlio di Sergio. Per la guardia di finanza di Roma, a occuparsi della creazione delle aziende offshore collegate all’affare sarebbe stato proprio il catanese Corallo. L’uomo, 56 anni, è attualmente detenuto nel carcere di Saint Martin e per lui è stata richiesta l’estradizione.

L’inchiesta, in cui è indagato anche Gianfranco Fini per concorso in riciclaggio, parte dall’ordinanza di custodia cautelare a seguito della quale sono finiti in manette Francesco Corallo, Rudolf Theodoor Anna Baetsen, Alessandro La Monica, Arturo Vespignani e l’ex parlamentare del Pdl (fino al 2013) Amedeo Laboccetta. Che, secondo i magistrati, sarebbero «capi e partecipi di un’associazione a delinquere transnazionale». Corallo avrebbe ripulito milioni di euro evasi dalle tasse, investendoli in attività economiche e finanziarie, nonché in acquisizioni immobiliari. Un vero e proprio sistema reso possibile da scatole cinesi di società costituite nei cosiddetti paradisi fiscali e, in particolare, alle Antille, fulcro delle attività del 56enne di origini catanesi. Al fisco nostrano non avrebbe versato le Preu (prelievo erariale unico), vale a dire l’imposta sugli incassi delle videolottery, del quale in Italia è il magnate indiscusso. La sua società è la seconda più grossa dopo Lottomatica, in grado di fare girare centinaia di milioni di euro grazie alle concessioni dei monopoli pubblici.

I soldi evasi sarebbero serviti non solo per investimenti poi riportati nell’ambito della legalità, ma anche per corrompere funzionari statali stranieri per ottenere permessi. A lui è stato sequestrato anche un lussuoso mega-residence sul mare alle Antille olandesi. Il suo nome, prima dell’arresto, era tornato alla ribalta per via della sua presenza nei Panama papers. I documenti segreti, resi pubblici dal periodico L’espresso, che rivelano i nomi di alcuni italiani titolari di conti correnti nel paradiso fiscale di Panama. Ancora giovanissimo Corallo lascia Catania per prendere in mano le redini delle imprese messe in piedi dal padre Gaetano. Quest’ultimo condannato per associazione a delinquere, senza l’aggravante mafiosa. Nonostante per i magistrati la sua vicinanza con Nitto Santapaola sia non solo documentata ma anche, come riportava anni fa il settimanale L’espresso, «ammessa» dallo stesso boss di Cosa nostra


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