Gianfranco & Angelino, nemici per la pelle

Il dado è tratto: Gianfranco Miccichè ha ufficializzato la sua candidatura alla presidenza della Regione siciliana. Nella parte finale del comunicato stampa con il quale annuncia la sua decisione, il leader di Grande Sud precisa: “Da questo momento il mio impegno sarà rivolto all’allargamento ulteriore della base politica, già molto forte, che mi sostiene”.

La ‘traduzione’ è piuttosto semplice: la sua è una candidatura che, almeno in questa fase, va in oggettiva contrapposizione con Nello Musumeci, con il Pdl e con il PID: ma non c’è una chiusura a priori: la discussione è ancora aperta con tutti i possibili alleati. Questa volta, però, la sua candidatura non può essere messa in discussione.

In queste ore le teorie sul ‘divorzio’ tra Gianfranco Miccichè e Raffaele Lombardo da una parte e il Pdl, il PID e Nello Musimeci all’altra parte si moltiplicano. C’è chi vede Miccichè ‘manovrato da Lombardo, che si sarebbe riavvicinato al leader di Grande Sud per seminare zizzania nel centrodestra. Ma c’è anche chi ipotizza che, ormai, una parte del Pdl sia orientata, sottobanco, verso l’Udc di Casini e, di fatto, starebbe lavorando per rendere difficile, se non impossibile, la ricandidatura di Berlusconi alla guida del nostro Paese. Facendogli  perdere la Sicilia. (a sinistra, foto tratta da elezionisicilia.net)

Tutte le interpetazioni hanno qualcosa di vero. La seconda, in particolare, non andrebbe sottovalutata del tutto, perché se Berlusconi dovesse perdere la Sicilia non avrebbe molte speranze di vincere le elezioni nazionali: anzi, forse dovrebbe dimenticare Palazzo Chigi.

Noi, però, vorremmo cominciare con un ragionamento più semplice, senza ‘dietrologia’.Miccichè, ormai dal 2001, insegue la presidenza della Regione. Ed è come se una ‘congiura’ di ex democristiani, ogni volta, glielo impedisca.

Nel 2001, sulla sua strada, trova Totò Cuffaro. Si deve arrendere perché, senza Cuffaro, il centrodestra, undici anni fa, non avrebbe vinto le elezioni.

Ci riprova nel 2006. Ma si ritrova davanti per la seconda volta Cuffaro (che, forse, per come sono andate ‘certe’ cose, avrebbe fatto bene a ritirarsi). Anche allora è costretto, per la seconda volta, a cedere. Si accontenterà della presidenza dell’Ars.

Nel 2008, dopo le dimissioni di Cuffaro, ci riprova per la terza volta. In questa terza occasione arriva un po’ ‘scoordinato’ all’appuntamento con Palazzo d’Orleans: dall’autunno del 2007 non perdeva occasione per attaccare il Governo Cuffaro: lo faceva per conto di Berlusconi che, in quel momento, aveva problemi con Casini? Lo faceva per prepararsi la strada nella corsa alla presidenza della Regione? Vattelappesca.

Fatto sta che, dopo le dimissioni di Cuffaro, rilascia una dichiarazione un po’ infelice, definendo lo stesso Cuffaro “il presidente dei cannoli”.

Cuffaro s’imbulalisce. E gli sbarra la strada. In accordo ccon quasi tutti i maggiorenti siciliani del Partito di Miccichè. Raffaele Lombardo, appoggiato da Cuffaro, gli soffia il posto. Scelta, quella di Cuffaro, che si dimostrerà disastrosa per lui e per la Sicilia.

Per Cuffaro sarà disastrosa perché Lombardo, appena eletto, si sbarazzzerà del suo vecchio alleato storico (cioè dello stesso Cuffaro) e dei suoi uomini. Ma sarà disastrosa, soprattutto, per la Sicilia, che si dovrà sorbire il peggiore Governo della storia dell’autonomia siciliana, sia sotto il profilo amministrativo, sia sotto il profilo politico e istituzionale.

Siamo arrivati ai giorni nostri. Dopo tre “no” per fare spazio a tre ex democristiani Miccichè forse si è stufato. Prima ha posto la propria candidatura provando a giocare di ‘sponda’ con Berlusconi. Ma – come sempre è avvenuto dal 2001 ad oggi – gli ex democristiani (del PID e del Pdl) si sono messi subito di traverso.

Forse per calmare le acque, o forse perché ci credeva per davvero, ha candidato Nello Musumeci alla guida della Sicilia sull’onda di un progetto autonomista. Ma in una settimana è successo di tutto.

Miccichè e i suoi uomini dicono che Musumeci non si è intestato in pieno il progetto autonomista. Altri sostengono che il progetto autonomista c’entra poco e che Miccichè si vuole candidare e basta.

Il primo dato politico è che Miccichè è candidato. Il secondo dato politico è che Berlusconi non potrà restare a guardare. Il Cavaliere, nel Centro Nord Italia, ha pronto l’accordo con la Lega di Maroni. Ma al Sud è scoperto. A nostro avviso, l’idea di dare vita a una sorta di Lega del Sud con La Destra di Francesco Storace, Grande Sud di Miccichè, il PID di Saverio Romano e altre piccole realtà politiche da trovare nel Mezzogiorno è ancora in piedi.

Questo progetto potrebbe risultare vincente per le prossime nazionali solo se il centrodestra e gli autonomisti, insieme, vinceranno in Sicilia. O se a vincerà sarà Musumeci. O, ancora, se a vincerà sarà Miccichè. In caso di vittoria del centrosinistra, Berlusconi avrebbe perso in partenza la sua scommessa nazionale.

Il fatto che i protagonisti della ipotetica Lega del Sud hanno bisogno di Berluconi per garantirsi i seggi a Roma, a quanto pare, non ha eliminato le divisioni. Miccichè e il Pdl continuano a non andare d’accordo.

In questa fase non è facile capire se è Lombardo che manovra Miccichè per far saltare l’operazione a Berlusconi per conto del centrosinistra. O se, invece, è Miccichè che vuole dimostrare a Berlusconi che in Sicilia, senza di lui, non si vince. E’ come se il leader di Grande Sud dicesse al Cavaliere: in questi anni hai fatto male, molto male a fidarti dei vari Angelino Alfano, Giuseppe Firrarello e Giuseppe Castiglione…

In questo contesto vanno anche considerate le ragioni del Pdl e, in particolare, del Senatore Guseppe Firrarello, l’unico dirigente di questo Partito che, nel 2008, era schierato contro il sostegno alla candidatura di Lombardo. I fatti gli hanno dato ragione.

Se ieri Miccichè non avesse rotto con il Pdl e la candidatura unitaria di Musumeci fosse ancora in piedi lo scenario sarebbe stato il seguente: autonomisti e centrodestra uniti nelsostegno a Musumeci. Quest’ultimo avrebbe avuto buone probabilità di vittoria.

Quindi, con la vittoria in Sicilia in tasca, Berlusconi avrebbe garantito i seggi a Roma a tutti, compresi Lombardo ei suoi uomini. A conti fatti, anche con i voti di Firrarello, Lombardo e i suoi avrebbero avuto i seggi a Roma.

Forse quest’ultimo passaggio – un po’ beffardo, se non paradossale – non deve essere piaciuto molto a Firrarello e a suo genero, Giuseppe Castiglione: da qui l’acredine di quest’ultimo verso Miccichè e Lombardo. Ampiamente ricambiata da questi ultimi due.

Il risultato è stata la rottura ieri. Oggi il centrodestra ha due candidati alla guida della Sicilia. Se il centrosinstra siciliano troverà una candidatura untaria difficilmente perderà le elezioni. Ma questa è un’altra storia.

 

 

 


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