Rita, Simona e Nando, autori a sei mani del libro Un papà con gli alamari, raccontano una versione inedita e più umana del prefetto saluzzese ucciso da Cosa nostra il 3 settembre 1982, insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di polizia Domenico Russo. «Qui dentro c’è tutto quello che ci ha tenuti in piedi»
Generale Dalla Chiesa, il ricordo dei tre figli «Adorava Celentano e il disco con Azzurro»
«Fra milioni di ricordi, senza volerlo, abbiamo scelto gli stessi, raccontandoli con approcci differenti ma con lo stesso sentire. Lui sapeva che eravamo diversi fra noi, ma che a unirci era un legame speciale». Un legame che ancora adesso, a distanza di 35 anni dall’agguato di via Isidoro Carini che uccise il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, emerge con prorompenza nelle vite dei tre figli Rita, Simona e Nando. Quello che raccontano, sul palco allestito nel piano della Cattedrale in occasione della seconda edizione della Festa dell’onestà al Cassaro alto, è l’uomo dietro la divisa. Lo fanno attraverso il libro scritto a sei mani, Carlo Alberto Dalla Chiesa – Un papà con gli alamari, che ne restituisce un’immagine inedita e più vicina.
«Qui dentro c’è tutto quello che ha retto a Palermo dopo quel 3 settembre – racconta Nando – Personalmente, a tenermi in piedi non fu solo l’impegno assunto da Leoluca Orlando, allora come oggi sindaco, e dallo stesso Sergio Mattarella, ma soprattutto il sostegno di Rita e Simona, rimaste accanto a me in modo granitico». Il riferimento corre subito a un ricordo ben preciso, al giorno in cui commentò, a margine dell’omicidio del padre, di cercare il mandante morale di quanto accaduto dentro la politica. «La stampa mi additó come la pecora nera della famiglia, volevano mettermi in croce, ma le mie sorelle mi hanno sempre dato ragione».
Un rapporto, quello fra loro, che contraddistingue anche quello avuto da sempre con l’Arma dei carabinieri. «La caserma di Palermo e quella in via della Moscova a Milano sono state casa nostra – ricorda ancora il figlio del prefetto – I carabinieri sono sempre stati per noi il tramite fra lo Stato e il popolo. Una visione che ci siamo sempre portati dietro. Si partiva dagli alamari per arrivare a tutto. Nostro padre ci ha abituati a guardare il mondo proprio attraverso quegli alamari, i suoi». Nel libro molto spazio è dedicato anche ai nipoti di Dalla Chiesa, con un riguardo particolare a tutti i giovani in generale: «Abbiamo girato moltissime scuole, ringraziamo quelle che hanno scelto di continuare a lavorare su questi temi anche quando n n era di moda e significava mettersi contro qualche preside – spiega Simona – Hanno costruito una cultura della legalità».
Ma parlare con gli studenti di una classe del generale Dalla Chiesa è ben diverso che raccontare un nonno ai propri figli, che quella storia l’hanno imparata e assorbita in modo diverso, «l’hanno respirata attraverso i nostri discorsi, i nostri gesti, le atmosfere in casa e, una volta più grandi, attraverso i confronti coi compagni», torna a dire Simona. Seduto accanto a lei c’è il sindaco Orlando, che chiude questo ciclo di ricordi. «Cos’è cambiato dopo 35 anni? Basta guardare questa piazza per comprenderlo – dice subito – La mafia a Palermo c’è ancora, ma non governa più in questa città», afferma con sicurezza, riprendendo una sua frase ormai nota.
Ma non vuole fare proclami e l’attenzione si sposta tutta di nuovo verso quel libro secondo lui necessario e che solo i figli potevano scrivere: «Finora sono stati scritti libri che hanno parlato solo del senso delle istituzioni di Dalla Chiesa, questo libro aggiunge vita a questo senso, basta sfogliarlo per capirlo – spiega – Adorava Celentano e il suo disco preferito era Azzurro, per esempio. È un dato di fatto che sia un eroe, ma oggi capiamo che di lui possiamo conservare anche la dimensione umana. Ringrazio i suoi figli, che con queste pagine hanno aggiunto vita ai tasselli già noti».