Quattro nomi dell'arte contemporanea, due modi diversi di vedere l'arte. Carmelo e Noemi sono andati al museo civico: le loro impressioni, tra la noia e lo stupore
Gemine Muse a Castello Ursino
Presentazione della mostra (di Carmelo Greco)
Da Venerdì 17 (data migliore non si poteva scegliere) fino al 22 di gennaio è possibile visitare, all’interno del duecentesco castello Ursino, una mostra di opere d’arte contemporanea. Protagonisti, 4 artisti con le loro rispettive creazioni. Entrando, superata la sala d’accoglienza, dove potete prendere un piccolissimo opuscolo con una breve spiegazione dell’evento, potete visionare le fotografie di Carmen Cardillo; le immagini sono poste in sequenza su due pannelli di uguali dimensioni. Molto d’impatto la foto che testimonia di alcune scritte sui muri del castello, monumento storico di non poco conto. Quest’opera è di critica lampante nei confronti dell’amministrazione comunale, che non valorizza al meglio il nostro patrimonio artistico (prova lampante è lo stato di degrado in cui giaceva fino a poco tempo fa il glorioso castello). Nella seconda sala, le luci si abbassano per dare vita a “unoallaterza”; a tre donne vengono intrecciati i capelli, e il loro moto disomogeneo verrà proiettato su 3 supporti diversi che ne raffigurano i diversi punti di vista, uno dall’alto, uno all’intero corpo delle donne e uno ai soli piedi; le tre donne scioglieranno i loro capelli intrecciati solo quando il loro moto diverrà centrifugo. Questo lavoro rimanda sia all’armonia, dovuta all’unione di gruppo, sia alla disarmonia dovuta all’impossibilità, in epoca contemporanea, di fare gruppo.
Proseguendo, le luci diventano più forti per dare spazio all’opera di Filippo Leonardi; l’artista appone il marchio “sconosciuto artista meridionale” a delle casse vuote con il coperchio socchiuso per dare l’impressione di un quadro che si è volatilizzato; e, in effetti, questi quadri (realmente esistenti, ma letteralmente introvabili) sembrano sul serio essersi volatilizzati. Anche quest’opera è una protesta implicita alla cattiva amministrazione che rende impossibile (o quasi) la reperibilità di alcune opere, la cui esistenza, a volte, viene addirittura messa in dubbio. Nell’ultima sala una serie di vasi di bronzo dipinti per l’occasione dalla pittrice greca Lambrini Boviatsou.
Il punto di vista di Noemi
Davanti al castello c’è un albero di Natale che sembra sospeso nell’aria. Ma questa è un’altra storia.
Che dentro, fra quelle mura medievali, ci sia una mostra bisogna indovinarlo. Nessun cartello, non un manifesto, niente.
Ma noi lo sapevamo, perciò da bravi giornalisti siamo entrati a dare un’occhiata. All’ingresso c’è una donna che distribuisce una mappa per aiutare i visitatori ad orientarsi meglio. Ma ci rendiamo conto presto che una mappa serve a poco: le sale allestite per l’esposizione sono appena quattro (evidenziate dal logo della mostra). Le altre (ben più di quattro) sono contrassegnate solo da un numero. Vuote. Inutilizzate.
Quattro sono le opere presentate. Poche, ma buone. Si comincia con le fotografie: Castello Ursino e le sue mura a diverse ore del giorno, comprese di auto parcheggiate e murales. Questo, quello che si vede. Ciò che non si vede, invece, è l’ingresso del Castello: Carmen Cardillo, l’autrice delle foto, lo evita volutamente; “sono delle mura chiuse”, sembrano voler dire quegli scatti polemici, “il museo e le sue opere non hanno bisogno di spettatori”.
Per la gara dell’originalità concorrono sicuramente l’idea di Filippo Leonardi (installare cinque casse di legno, con scritto il titolo di un’opera e “Sconosciuto artista meridionale”, socchiuse come se le opere -inesistenti, che non si vedono, – volessero venirne fuori, ma qualcosa o qualcuno glielo impedisce, come le molte opere conservate al castello e precluse al pubblico) e il singolare filmato “Unoallaterza” di Furnari/Longo/Lo Porto: lo stesso magico rituale, tre figure femminili che escono dal buio e che si intrecciano (letteralmente!) per poi separarsi irrimediabilmente, spinte da una forza centrifuga scandita dal rumore dei loro tacchi, riproposto da tre prospettive tutte diverse e singolari. L’ultima opera esposta, quella dell’artista greca Lambrini Boviatsou, è luminosa: tre oggetti da cucina di metallo che risplende sotto le luci del museo, ognuno con lo stesso volto come riflesso sulla superficie. Ispirato alle antiche anfore greche a figure rosse, ma questo lo scopriamo dopo.
Il punto di vista di Carmelo
Carmelo Greco, sforzandosi in ogni modo per fare una presentazione il più imparziale possibile, si stacca dalle vesti di “presentatore” (che tra l’altro gli stanno strette) per immedesimarsi in un ruolo del tutto nuovo, ma molto più interessante ed eccitante. Il Carmelo critico d’arte, non appena entra nella hall, comincia a cercare ragazze carine con cui trascorrere quegli interminabili attimi…Nothing to do, l’unica ragazza carina era l’impegnatissima hostess. Mi trovo così costretto a girovagare, e nonostante io sia per antonomasia l’ “OPEN MIND”, continuo a chiedermi, nella lingua che fortunatamente apprendo meglio studiando lingue, “ma chissi chi bolunu riri?”. Proseguo alla ricerca di qualcosa di interessante, ma proprio non riesco a capire cosa diavolo significhino quelle opere.
Mi sono soprattutto imbambolato davanti a “unoallaterza”; non riuscivo proprio a capire il significato di quel video infinito e sempre uguale. Resomi conto che io, in quel posto, non c’entravo nulla, comincio a girovagare senza una precisa meta. Dopo quindici interminabili minuti (dovuti all’interesse della mia collega/accompagnatrice Noemi, per quelle opere dal gusto ambiguo) esco dal castello, e, tirando un sospiro di sollievo, incrocio il suo sguardo e, con un sorrisino beffardo (dovuto probabilmente al fatto che lei conosce i miei gusti), mi fa: “Ti è piaciuta?” . Io, con la finezza che mi contraddistingue da anni ( e mi perseguita come un marchio di fabbrica), le faccio: “ma vaf….”