Potrebbero tornare i periti all’interno della Raffineria di Gela, per accertare nuovamente il nesso causale tra la presenza industriale e l’inquinamento ambientale. La seconda udienza a seguito del ricorso cautelativo d’urgenza – che vede la firma di oltre 500 cittadini gelesi affinché si fermino le attività degli impianti Eni e le trivellazioni previste e partano immediatamente le bonifiche – ha visto ancora parecchia tensione tra le parti.
La piccola stanza al quarto piano del tribunale di Gela, sezione civile, è un continuo via vai di gente. Parecchi gli avvocati presenti, «curiosi e interessati», dice uno di loro. Ci sono pure due consigliere comunali, Virginia Farruggia, del Movimento 5 stelle, e Anna Comandatore, da poco passata con Lista Musumeci. L’avvocato Luigi Fontanella, che insieme al padre Luigi e alla moglie Laura Vassallo, ha avviato un’azione risarcitoria nei confronti delle società del gruppo Eni per danni morali ed esistenziali, ha esordito citando il noto giurista Piero Calamandrei. «Gli avvocati non sono né giocolieri da circo, né conferenzieri da salotto, la giustizia è una cosa seria». Un chiaro attacco rivolto ai colleghi che difendono gli interessi del cane a sei zampe. «L’aggressività verbale e le offese rivolte a noi ricorrenti e al Comune non sono accettabili – ha detto Fontanella -. L’azienda ha negato l’innegabile, cioè che a Gela esiste un inquinamento diffuso che riguarda l’aria, l’acqua e il suolo. Dati sono incontestati e incontestabili. E ci sono diversi interventi legislativi che accertano il perdurante pericolo».
Accuse rigettate in toto dal principe del foro Lotario Dittrich, che torna a prendersela anche col Comune di Gela, che in questo procedimento ha sposato le richieste dei ricorrenti. «Ci addebitano qualunque cosa, ci manca solo la strage. Le autorizzazioni Aia dimostrano come l’attività Eni sulle questioni ambientali sia continua, costosa e fatta con la massima determinazione. Ricordo che lo stabilimento è chiuso. Viene citato anche il reparto Clorosoda, eppure è stato chiuso e smantellato 15 anni fa, quindi il caso è chiuso». L’avvocato ha quindi ribadito quanto detto nella prima udienza: «Non è una minaccia, ma sappiate che se il tribunale di Gela dovesse accogliere il ricorso straordinario per presunti danni derivanti da un inquinamento industriale, finora privo dell’onere della prova, si metterebbe in discussione il protocollo d’intesa con i suoi investimenti (2,2 miliardi di euro) e la stessa presenza dell’Eni nel territorio». La società in una nota precisa che «nel corso dell’udienza il legale delle società locali di Eni coinvolte ha precisato che la richiesta di sequestro degli impianti per un asserito inquinamento ambientale al fine di affidarne la gestione a custodi nominati dal giudice, di cui si discuteva proprio nell’udienza odierna, non solo è infondata in fatto e diritto ma se concessa sarebbe un danno per la comunità locale prima ancora che per Eni in quanto la indisponibilità dei beni industriali non permetterebbe alle società locali di Eni di far fronte al Protocollo d’Intesa siglato di recente».
Un’annotazione che ha fatto rumoreggiare la piccola platea presente. «Non sapevo che gli impianti avessero la capacità dell’autobonifica», ha ironizzato la consigliera Farruggia. Mentre l’avvocato Mario Cosenza, legale del Comune di Gela, ha depositato sei sentenze irreversibili del Tribunale di Gela nei confronti dei vertici Eni e 12 atti della Procura della Repubblica, compresi alcuni rinvii a giudizio. «Gli atti confermano che Eni non vuole spendere un euro per la manutenzione – ha aggiunto Cosenza -. Persegue solo il profitto. A fronte di reati gravissimi ed accertati, finora il cane a sei zampe se l’è cavata con ammende ridicole». Il giudice Virgilio Dante Bernardi ha disposto 15 giorni di tempo alle parti per presentare brevi repliche e la richiesta di istanze istruttorie. Riservandosi la possibilità di consultare eventuali nuovi periti.
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