Gangi, un paese sospeso tra miti e religione

di Alessandro Amante

Occorrono quasi due ore di viaggio, partendo dal Capoluogo siciliano, per raggiungere Gangi, suggestivo borgo medioevale dalle origini cretesi e greche, inerpicato sulle montagne delle alte Madonie che ne costituiscono cornice singolare e fortezza dolcemente espugnabile che, come donna preziosa, si concede e premia il cuore, l’anima e gli occhi del turista più audace; ogni senso ne è rapito.

Il Gonfalone del Comune è foriero delle origini di questo luogo: la fonte da cui trae il nome di Enygon, il nome originario di Gangi e il minotauro che si disseta alla fonte che ne traduce le origini cretesi.

Gangi, infatti, secondo la tradizione storiografica, è l’erede della mitica cittadina di Engyon. Intorno al 1200 a.C., i Cretesi di Minosse fondarono una città nell’entroterra della Sicilia e che, dalla fonte che vi scorreva all’interno, chiamarono Engyon; fu innalzato un tempio dedicato alle Dee Madri che assurse grande fama per la presenza di rilevanti tesori.

La Storia, invece, ci riporta indietro fino al 1195, in cui Gangi apparteneva alla famiglia de Craon signori di Geraci, lasciando poi il testimone ai Ventimiglia, Conti di Geraci fino al 1625, anno in cui il borgo entra in possesso della famiglia Graffeo prima e dopo qualche tempo, alla famiglia Valguarnera

Ai Conti di Geraci e alla loro egemonia risale la costruzione del Castello, imponente fortezza a 1045 metri dal mare, e la realizzazione della Torre quadrata, in stile rigorosamente gotico. Attraversando il sentiero in pietra essa ci accoglie con le sue eleganti bifore e il quadriportico passante, oggi meglio noto come “Torre dei Ventimiglia” (foto a destra tratta da flickr.com). Il Castello, sorto per volere dei Ventimiglia, viene però snobbato dalla stessa famiglia, che preferisce le dimore di Geraci e di Castelbuono. Il maniero subisce copiose trasformazioni negli anni e dopo un breve utilizzo come carcere prima e come scuola dopo, viene acquisto da una famiglia del luogo. (sopra, a sinistra, una veduta di Ganci)

L’aria calda di giugno ci abbraccia, lo sguardo si perde tra le valli sconfinate ed è ancora una volta la Sicilia, con la sua arte, culla di dominazioni e popoli di varie tradizioni, ad imporsi ai nostri sensi; Ganci, Enygon, svetta sulla cima in attesa di essere svelata ma è dal basso che vuole partire la nostra conoscenza di questo luogo amèno e fortemente religioso. Si possono infatti contare ben diciotto chiese nel centro abitato e cinque nelle campagne.

In prossimità di un crocevia di “trazzere” si erge il Santuario dedicato allo Spirito Santo. Gangi infatti è l’unico paese in Europa con un santuario dedicato allo Spirito Santo che è anche protettore del borgo. Protettore e non Patrono, il cui ruolo è rimesso invece a San Cataldo.

La piazza antistante il Santuario dello Spirito Santo è assolata e sembra non lasciare spazio ad alcun ristoro d’ombra; anche la fontanella lì vicino non offre neanche un goccio d’acqua.

Ma è proprio entrando nel Santuario che si viene investiti da una piacevole sensazione di conforto che supera i confini del corpo per giungere dritta al cuore. Il soffio dello Spirito Santo, l’alito di vita del Paraclito sembra quasi palpabile. L’icona dello Spirito Santo è posta sopra l’altare maggiore e raffigura per l’esattezza la Trinità. Storia e leggenda riprendono ad intrecciarsi e confondere il lettore. (a sinistra, foto tratta da siciliaindettaglio.it)

L’origine del Santuario è molto antica. La leggenda vuole che in questo luogo esistesse un edicola intitolata alla Spirito Santo, nella quale era collocato un masso che al suo interno riportava l’immagine dell’Eterno Padre con una colomba sul petto. Questo dipinto venne presto sepolto e dimenticato sotto strati di terra, finché un contadino bleso rinvenne il masso e riportò, a seguito di grazia ricevuta, che da una lesione grondava sangue dal sopracciglio. A seguito di questo miracolo fu deciso di traslare il masso con l’icona miracolosa. Ma circostanze inspiegabili ne impedirono lo spostamento e indussero le autorità del tempo a costruire un tempio proprio in quel luogo.

La Storia indica invece che in quel luogo esistesse un’edicola con un dipinto del Cristo Pantocratore simile nelle Sue fattezze a quello di Cefalù. L’interno del Santuario raccoglie diversi stili sebbene predominante sia il tardo Barocco quasi Rococò con affreschi di Crispino Riggio e di Tommaso Pollace. Diversi interventi portarono alla definizione della Chiesa che nell’800 vede la realizzazione della Cappella Laterale dedicata alla Madonna della Provvidenza, dove l’icona della madre di Cristo con il bambino, campeggia al centro della sala silenziosa con le volte a botte dipinte e consumate dal tempo, appena illuminate dal sole che timido attraversa le finestre istoriate.

Facciamo un passo indietro. Nel 1625 Gangi passa dalla signoria dei Ventimiglia a quella dei Graffeo, che nel 1629 acquisiscono il titolo di Principe di Gangi, e nel 1654 ai Valguarnera che manterranno il possesso di Gangi fin oltre la metà dell’Ottocento.

Il Settecento rappresenta uno dei momenti culturalmente più vivaci della storia di questo borgo: proliferano numerose Accademie di letterati, tra le quali si impone “L’Accademia degli Industriosi” (1758) fondata dai fratelli Francesco Benedetto e Gandolfo Felice Bongiorno, e di numerosi artisti come Filippo Quattrocchi assurto al ruolo di più conosciuto scultore di arte sacra in legno della Sicilia, o come Gaspare Fumagalli e Pietro Martorana, pittori tardo barocchi siciliani tra i più apprezzati che lasciano le loro “tracce” artistiche nelle sale palazzo Bongiorno e nella chiesa dello Spirito Santo di cui si è già parlato. Altri artisti di chiara fama frequentano Gangi in questo periodo (Crispino Riggio, Lorenzo Cerasuolo), lasciando il segno della loro arte.

Nello stesso secolo si costruiscono alcuni palazzi nobiliari e tra questi Palazzo Bongiorno, e in seguito i palazzi Sgadari che dal 1995 ospita il museo civico nei quali si conservano reperti archeologici di Gangi vecchio, e Palazzo Mocciaro.

Attraversiamo i vicoli di pietra madidi di sudore, accompagnati dagli sguardi di greggi d’anziani, memoria silenziosa e vivente di questi luoghi, fin quando si giunge alla piazza del paese intitolate a San Nicolò di Bari, dove sorge la Chiesa Madre, risalente al XIV secolo, con lo stesso titolo di San Nicolò arricchitasi oggi con tre navate rispetto all’unica prevista in origine. All’interno della Chiesa, tra le altre opere, ritroviamo il Giudizio Universale, capolavoro di Giuseppe Salerno (uno dei due Zoppo di Gangi) e varie statue dello scultore gangitano Quattrocchi immortalati in pose che ne rivelano un’inquietante vitalità. (a destra, foto tratta da fotografiaitalia.it)

Un filo conduttore lega poi la Chiesa Madre posta in cima al paese, con il già noto e citato Santuario dello Spirito Santo, protettore del borgo che lo custodisce dal basso.

Il giorno successivo alla festività della Pentecoste, infatti, si celebra una festa molto partecipata in cui le Statue delle varie confraternite sono portate in processione, giungendo da ogni parte del borgo, fino al Santuario. Chiude il corteo la reliquia della Santa Croce.

 


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