Agromafie, caporalato, dieta mediterranea e intelligenza artificiale, insieme a degustazioni, sfilate di moda, occasioni mondane e finestre di visibilità. Questi sono alcuni degli elementi che hanno composto il programma dell’evento Divinazione Expo 24, organizzato dal ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste per fare da apripista al G7 Agricoltura e Pesca, che si sta tenendo nell’isola di Ortigia, a Siracusa. Ma in questo menù «c’è una grande assente: l’agroecologia». La denuncia è del WWF. Secondo l’associazione ambientalista, il fatto che il programma di Divinazione non abbia trattato questo tema rende «evidente la rinuncia del nostro Paese a intraprendere con convinzione la strada per una vera transizione ecologica della nostra agricoltura verso l’agroecologia». Ma di cosa parliamo precisamente? Per dirla in modo sintetico l’agroecologia fa incontrare la necessità della produzione agricola e la preservazione dell’ambiente. Quello dell’agroecologia è un concetto molto ampio, che comprende strategie e approcci a volte diversi tra loro, che tendono però tutti allo stesso obiettivo: rendere la produzione sostenibile per l’ambiente e per le risorse che abbiamo a disposizione.
E in questo senso il WWF sottolinea che l’agricoltura intensiva – «è al tempo stesso causa e vittima del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità». Per ‘agricoltura intensiva’ s’intende quel tipo di agricoltura che sfrutta al massimo la capacità produttiva del terreno, mentre per ‘biodiversità’ la varietà di organismi viventi nelle loro diverse forme e nei rispettivi ecosistemi. E se è vero che – nel breve periodo – con l’agricoltura intensiva si produce di più, è altrettanto vero che si consuma di più in termini di risorse, di acqua e di energia, provocando nel medio-lungo periodo danni ai campi, alla loro capacità di rigenerarsi, in generale all’ambiente e – di rimando – agli esseri umani. Secondo il WWF, si diceva, l’agricoltura intensiva ha questo doppio ruolo: causa e vittima del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità. Per l’associazione ambientalista, infatti, agricoltura e pesca hanno delle responsabilità dirette. La prima per tutte le cose dette sopra a proposito dell’agricoltura intensiva, la seconda perché nel corso del tempo si sono sviluppate una serie di tecniche di pesca – su tutte la cosiddetta pesca a strascico – che sono state riconosciute come poco sostenibili o addirittura pericolose per la sopravvivenza di pesci e di altre specie marine. Per questo – non senza contrasti tra i partiti (in Parlamento europeo) e tra i Paesi membri (nel Consiglio dell’Unione europea) – l’Ue è intervenuta per gestire e regolamentare la pesca, provando così a limitare i danni.
Oltre a essere alcune delle cause del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità, agricoltura e pesca «sono anche i settori economici più esposti agli effetti di queste due crisi ambientali globali», sottolinea il WWF. Ma allora, vista l’importanza dell’argomento e considerato il ruolo strategico che secondo molti esperti l’agroecologia può avere nella riduzione delle emissioni di anidride carbonica e nella tutela del suolo, perché al G7 Agricoltura e Pesca di Siracusa di questo non si sta parlando? «Perché il mondo agricolo – sia italiano che europeo – è stato il principale oppositore del Green Deal europeo», dice a MeridioNews, Franco Ferroni, esperto Agricoltura e Biodiversità dell’ufficio Sostenibilità del WWF. «Dovevamo aspettarcelo che il tema dell’agroecologia non sarebbe entrato nel programma di questo G7, infatti la cosa non ci stupisce», continua Ferroni. Secondo l’esperto del WWF «stiamo assistendo a un G7 autoreferenziale, che le associazioni agricole stanno utilizzando come momento di vetrina per rilanciare visioni di agricoltura drammaticamente distanti dalla sostenibilità». Secondo l’esponente dell’associazione ambientalista, «quello che emerge da questo G7 Agricoltura è che i problemi del settore si risolvono solo con le biotecnologie: quelle digitali e quelle legate ai nuovi organismi geneticamente modificati».
Secondo lui, «le biotecnologie digitali possono aiutare, ma da sole non risolvono i problemi legati a cambiamento climatico e biodiversità». Per l’esperto uno dei problemi principali è che «il mondo agricolo italiano non ha la percezione di quanto l’agricoltura sia strettamente connessa con la natura». Nel senso che alla natura un cattivo modo di fare agricoltura crea danni. «E alcuni, sbagliando, pensano che agricoltura e natura siano in competizione». I modelli matematici prevedono che nei prossimi decenni la popolazione mondiale aumenterà ancora, «ma la sicurezza alimentare non si può garantire senza la sostenibilità dei suoli e senza dell’acqua pulita, non inquinata». Ferroni dice che «spesso si invoca la scienza, ma poi non si citano i dati scientifici quando questi confermano che in Europa l’agricoltura è la prima causa della perdita di biodiversità». E «a livello globale l’agricoltura è responsabile del 23 per cento delle emissioni dei gas climalteranti», cioè quei gas che contribuiscono al cambiamento climatico o alla sua accelerazione. «Lo confermano il rapporto Ipcc, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e l’Agenzia europea dell’ambiente (Eea)».
Ferroni parla di «un legame stretto tra agricoltura e natura», un rapporto «dato da servizi ecosistemici fondamentali, come l’impollinazione o la sostanza organica nel suolo, che in questo momento è bassissima: tra il 4 e il 5 per cento». La sostanza organica tiene i terreni e impedisce loro di diventare dei pantani. «Con un livello così basso di sostanza organica nel suolo – spiega l’esperto del WWF – non si potrà avere alta produzione o la resilienza dei terreni ai cambiamenti climatici». Per l’associazione ambientalista una delle soluzioni per invertire la rotta è proprio l’agroecologia. «Anche l’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) sostiene che questa è la strada prioritaria», dice Ferroni al nostro giornale. Ma allora perché non si implementano politiche agricole sostenibili, diverse da quelle attualmente in vigore? «Perché c’è un conflitto di interessi: alcune associazioni agricole vendono agli agricoltori gli input», per esempio i mangimi, quindi – è il sottotesto – se si cambia modo di produrre, loro ci perdono. «Inoltre – continua Ferroni – le associazioni agricole hanno smesso da tempo di rappresentare gli interessi dei piccoli agricoltori e delle aziende, anzi sono in stretta competizione – se non in alleanza – con le multinazionali che controllano il sistema agricolo, e non solo quello nazionale».
Ma può c’entrare anche altro? Può essere pure una questione di cultura? «Sì – dice Ferroni – la questione culturale c’è, perché l’età media degli agricoltori è alta (più di 60 anni), quindi c’è una difficoltà al cambiamento e ad affrontare situazioni nuove e straordinarie, come quelle legate al cambiamento climatico». Per questo l’esponente del WWF sostiene che «la politica dovrebbe garantire assistenza tecnica indipendente e pubblica per accompagnare agricoltori e aziende verso la transizione: non la devono pagare gli agricoltori la transizione ecologica». L’associazione ambientalista chiede un totale cambio di approccio, una transizione «equa e inclusiva», la «gestione sostenibile delle aree destinate all’agricoltura e alla pesca», «l’eliminazione graduale delle sostanze chimiche dannose per l’ambiente», la «liberazione della produzione alimentare dai combustibili fossili» e il passaggio «a sistemi di energia rinnovabile», insieme ad altre istanze più generali come «l’eliminazione della deforestazione». La «sostenibilità economica, quella sociale e quella ambientale vanno di pari passo – conclude Ferroni – ma i decisori politici non lo hanno capito».
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