Giusto due notti, meno di quarantott’ore. È quanto è durata, per il Catania, la permanenza al quartultimo posto della classifica di serie B. Posizione precaria e disonorevole, ma che almeno avrebbe il pregio di evitare ai rossazzurri la retrocessione diretta, rimandando a uno spareggio la decisione su chi deve andare in Lega Pro (o, come si diceva una volta, in serie C). Meno di quarantott’ore: perché quella quartultima posizione, precaria e disonorevole quanto si vuole, il Catania l’aveva conquistata, per dir così, giovedì scorso. E non certo sul campo, dato che giovedì non s’è giocato. Bensì per effetto dei sei punti di penalizzazione che la giustizia sportiva ha inflitto al Brescia, trasformandolo d’ufficio nell’ultima squadra della classifica di B.
Questa dunque è la realtà: una squadra costruita con i proclami e le ambizioni che sappiamo, e costretta poi a respirare, a dieci giornate dalla fine del campionato, per la misera speranza di una via giudiziaria alla salvezza; e addirittura incapace di approfittare perfino di quella, visto come i rossazzurri sono oggi andati a perdere per due a zero sul campo della Virtus Entella. Squadra della quale un paio d’anni fa ci permettevamo il lusso di ignorare l’esistenza. E che oggi ci rende la pariglia sopravanzandoci in classifica di buoni otto punti.
Leggo che adesso la società sta valutando la sostituzione del tecnico Dario Marcolin, e leggo altresì le rituali smentite a quest’ipotesi. Nulla di che sorprendersi, fa parte del gioco. Ma non sono solo gli errori di Marcolin – che pure ne ha commessi – a farmi più temere per il futuro di questa squadra. Semmai, sono episodi come quello accaduto oggi al difensore Raffaele Schiavi, sul campo di Chiavari, quando la partita era ormai finita.
Bisogna premettere che Schiavi ha le sue responsabilità sul primo dei gol subiti dal Catania, segnati entrambi di testa da Gaetano Masucci, attaccante dell’Entella alto un metro e settantatre. Sul primo gol, è vero, c’è il sospetto che il giocatore avversario abbia preso la palla, più che di testa, con il braccio. Ma resta il fatto che Schiavi non ha fatto granché per impedirgli di battere Gillet.
Ma non è questo il punto. Il punto è che – frustrato e impotente come può essere chi gioca per una squadra che si sente superiore alle altre, ma poi perde tutte o quasi tutte le partite tecnicamente più abbordabili – al novantatreesimo minuto di gioco Schiavi ha atterrato un attaccante avversario che correva verso la nostra porta, meritandosi l’ammonizione. E va bene. Senonché subito dopo il giocatore – per il quale, non essendo egli diffidato, quell’ammonizione significava ben poco – ha detto qualcosa all’arbitro mentre questi gli si avvicinava sventolando il cartellino giallo. Qualcosa che ha convinto il direttore di gara a rimettere in tasca quel cartellino, per tirarne fuori un altro, di colore rosso.
Farsi ammonire due volte nel giro di pochi secondi è una fesseria che ci riporta indietro. Che ci fa ripensare alle bizze che, per metà stagione, ci sono state regalate dalla pattuglia argentina cui il Catania si è affidato nella prima metà di campionato. Un errore degno di Leto, per capirci (anche se ininfluente sul risultato della partita). I fatti preoccupanti, secondo me, sono due. Primo, che Schiavi non appartiene a quella pattuglia argentina; è un giocatore arrivato col mercato di gennaio, uno di quelli che dovevano garantire il cambio di marcia della squadra; e che per qualche settimana ci avevano illuso di averlo realizzato. Secondo, che frustrazione e impotenza non sono solo le probabili ragioni del singolo errore di Schiavi; bensì la cifra dell’intera partita giocata e persa dal Catania questo pomeriggio; e non solo di questa.
Frustrazione, impotenza: sono i sintomi di un male che è ancora, a quanto pare, nella testa dei giocatori del Catania. Un male che già da parecchio tempo sarebbe stato necessario estirpare, e che invece non se ne è andato via neanche col mercato di gennaio. Un male, questo, perdurando il quale non vedo quale via possa portarci alla salvezza. Di certo non quella giudiziaria. Ma men che meno, allo stato delle cose, quella che passa per il campo.
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