In questi ultimi anni, più volte, ci si è ricordati di due dei tre grandi protagonisti del primo tempo, quello che appare più denso di novità, della storia della regione siciliana. Di giuseppe alessi, grande avvocato e passionale personaggio - assurto a modello di come dovrebbe essere, e purtroppo non è, un uomo politico - si sono riempite pagine di giornali e di libri, così come di giuseppe la loggia, grande intellettuale e razionale politico, su cui sono stati espressi contrastanti giudizi, si sono commentate e interpretate le scelte e perfino, grazie all'attivismo encomiabile del figlio devoto, è stata eretta una fondazione onorata, nella giornata inaugurale, dalla presenza del capo dello stato.
Franco Restivo, l’Autonomia ‘felice’
In questi ultimi anni, più volte, ci si è ricordati di due dei tre grandi protagonisti del primo tempo, quello che appare più denso di novità, della storia della Regione siciliana. Di Giuseppe Alessi, grande avvocato e passionale personaggio – assurto a modello di come dovrebbe essere, e purtroppo non è, un uomo politico – si sono riempite pagine di giornali e di libri, così come di Giuseppe La Loggia, grande intellettuale e razionale politico, su cui sono stati espressi contrastanti giudizi, si sono commentate e interpretate le scelte e perfino, grazie all’attivismo encomiabile del figlio devoto, è stata eretta una Fondazione onorata, nella giornata inaugurale, dalla presenza del Capo dello Stato.
Di Franco Restivo, che nasceva il 25 maggio di centouno anni fa, a Palermo, illustre studioso di diritto pubblico e guida illuminata di quello che fu definito “Il felice settennio” della storia dell’Autonomia regionale, non solo non si è scritto nulla, non solo non si è dato spazio ad un benché minimo ricordo, ma c’è la sensazione che lo si voglia rimuovere, come una sorta di intruso che possa deturpare l’immagine (sic!), di questa stessa storia. Restivo, consentitemi di affermarlo, è stato vittima illustre di un poco accettabile modo di informare l’opinione pubblica.
A Franco Restivo, che invece vittima è stato di un terribile momento vissuto dal nostro Paese, segnato da quelli che sono stati definiti “anni di piombo”, sono state addebitate colpe non sue e nessuno, proprio nessuno, si è fatto carico di smentire le insulsaggini montate ad arte e ripetute acriticamente da chi avrebbe avuto il dovere di testimoniare la verità.
Qui, però, non vogliamo soffermarci a smentire o a contestare taluni ingiusti assunti divenuti quasi sentenza passata in giudicato. Vogliamo invece ricordare il contributo che, questo “piccolo” uomo erede di una grande famiglia, ha dato alla Sicilia in un momento esaltante della storia dell’autonomismo regionale.
Restivo ha incarnato, meglio di tanti altri, la figura di un moderato che guardava al sociale con grande interesse, che si rendeva cioè conto della necessità di riequilibrare i rapporti fra capitale e lavoro per obbedire a principi di giustizia sostanziale. Ma Restivo era, soprattutto, uomo delle istituzioni, che aborre le visioni palingenetiche, che si attesta sulla barricata di un riformismo capace, convinto com’è che la storia non procede per salti.
D’altra parte, la cultura giuridica che l’accompagnava, una cultura giuridica maturata alle grandi scuole di Vittorio Emanuele Orlando e di Santi Romano, non poteva che forgiarne, in questo modo, il carattere. Decisivi, nella sua formazione politica, furono le frequentazioni con Gaspare Ambrosini, con Bernardo Mattarella e Salvatore Aldisio (Foto a destra tratta dall’archivio del Senato). Il primo, ancora un giurista, lo avvicinò al regionalismo; gli altri due, epigoni del popolarismo sturziano, ne indirizzarono il percorso politico. Fatto è che, Franco Restivo, ancor prima che il fascismo crollasse rovinosamente, era già una figura di rilievo fra quelle che avrebbero guidato la Democrazia cristiana e avrebbero condotto la battaglia, vincente, per dare vita a quell’Autonomia regionale, aspirazione insoddisfatta dei siciliani dall’Unità in poi.
Le sue convinzioni, maturate con grande travaglio intellettuale, si espressero in modo evidente già nel corso del convegno della Democrazia cristiana tenutosi ad Acireale nel 1944. In quell’occasione Restivo, cui era stata affidata la relazione ufficiale sull’Autonomia regionale, presentò le regioni come “membrature naturali d’Italia, come la migliore garanzia delle libertà della nazione” e il regionalismo come “processo di democratizzazione, fattore di difesa” e ancora “funzione di equilibrio nella vita dello Stato”.
Il suo regionalismo, come quello di Alessi, Aldisio e altri cattolici ex popolari, rigettava dunque l’ipotesi separatista avanzata dal Mis (Movimento indipendentista siciliano) e sposava l’idea sturziana della “Regione nella nazione”. Non meraviglia, dunque, il trovare la sua firma nell’appello che molti intellettuali rivolsero ai responsabili dell’A.M.G.O.T ,contro il velleitarismo separatista.
Restivo, per i suoi meriti scientifici e per la qualità delle sue opzioni politiche, fece parte della Consulta regionale che avrebbe elaborato lo Statuto regionale, offrendo un grande contributo sia sul piano politico che su quello tecnico. A lui si deve la specificazione, inserita nel primo comma dell’art.38, laddove si rinvia alla redazione di un piano economico per l’utilizzazione del fondo di solidarietà nazionale.
Nel 1946, Restivo venne eletto alla Costituente nelle fila della Democrazia cristiana, ma rinunciava il 13 novembre successivo perché convinto che il suo impegno, politico e culturale, dovesse essere rivolto alla nuova istituzione regionale. Il 20 aprile del 1947 è, infatti, eletto deputato all’Assemblea regionale siciliana e chiamato a far parte, come vicepresidente e assessore alle Finanze, del 1* governo guidato da Giuseppe Alessi.
Le notevoli difficoltà che si accompagnarono a quella stagione, furono vissute, dai suoi protagonisti, con l’entusiasmo e la passione dei neofiti, stati d’animo che condivise anche Franco Restivo il quale, tuttavia, come pochi altri, li elaborò avendo i piedi fermamente piantati a terra. Restivo aveva chiaro, infatti, il quadro delle resistenze che settori autorevoli della dirigenza nazionale mostravano nei confronti della neonata istituzione. Pesava, come un macigno, la considerazione che si corresse il rischio, in un momento difficile della vita nazionale, di rompere l’unità finanziaria dello Stato, come andava affermando Luigi Einaudi riferendosi all’Autonomia regionale siciliana.
Restivo, da moderato, si schierava sulla barricata della mediazione rispetto alle animosità di Alessi che si concludevano con le sue dimissioni nel dicembre del 1948. Le dimissioni del primo presidente della Regione siciliana aprivano la strada a Franco Restivo, l’uomo che, per sette anni circa, il cosiddetto “Felice settennio”, avrebbe guidato le sorti della Regione. Restivo, con la sua coalizione di centrodestra, assicurò stabilità alla Regione in un tempo caratterizzato da fortissime tensioni ideologiche che, naturalmente, si ripercuotevano sull’azione di governo.
Nonostante il clima non certo favorevole, Restivo con i suoi governi riuscì, fra l’altro, a portare in porto una riforma epocale. Contribuiva all’approvazione della riforma agraria, aspirazione secolare dei contadini siciliani, una riforma che, seppur con grandi limiti dovuti a pregiudiziali e vincoli ideologici, ha avuto il merito di cancellare “la Sicilia del latifondo”, determinando processi di mobilità sociale assolutamente inaspettati.
Restivo, inoltre, si impegnò, attraverso il varo di provvedimenti settoriali, a consolidare la struttura economica regionale dotandola di quel minimo di infrastrutture di base senza le quali sarebbe stato velleitario parlare di processi di sviluppo.
Un giudizio su Restivo, dettato da passioni ideologiche e sicuramente immeritato, lo dà Emanuele Macaluso quando lo definisce “una frontiera contro il progresso della Sicilia”. Macaluso, molto settario nel tempo in cui scrisse tali frasi, dimenticava la serietà dell’impegno dell’uomo e la sua forza nel “respingere – lo scrive un feroce antidemocristiano come Michele Pantaleone – l’amicizia con i boss della mafia” fatto allora comune a molti politici, comunisti non esclusi.
La parabola di Restivo in Regione si chiuse nel 1955 quando, rieletto deputato e riproposto come presidente della Regione, venne clamorosamente bocciato dal voto d’Aula. Con senso di grande equilibrio, piuttosto che insistere, si mise da parte aspettando le consultazioni nazionali. Nel 1958 sarà infatti eletto deputato nazionale, iniziando un nuovo cursus honorum che lo vedrà ministro della Repubblica in importanti dicasteri.
A conclusione di questo breve profilo, mi piace evidenziare che a Franco Restivo, dimenticato dai più, si deve il consolidamento di quell’Autonomia regionale che molti dei suoi successori avrebbero, poi, degradato a mera struttura di potere e, perfino, a luogo di malaffare.
Foto in alto tratta da forum-auto.com