«Il prossimo Papa». Veniva definito così Francesco Russo, arrestato ieri durante il blitz Ombra con l’accusa di essere il nuovo reggente della famiglia mafiosa etnea Santapaola-Ercolano, in una delle conversazioni captate dalla polizia. Un «rilevantissimo quantitativo», una «oceanica mole di dialoghi intercettati», sottolinea la gip di Catania Marina Rizza che firma l’ordinanza di custodia cautelare […]
Chi è Francesco Russo, l'innominabile reggente dei Santapaola-Ercolano nominato troppo spesso: «È lui il prossimo Papa»
«Il prossimo Papa». Veniva definito così Francesco Russo, arrestato ieri durante il blitz Ombra con l’accusa di essere il nuovo reggente della famiglia mafiosa etnea Santapaola-Ercolano, in una delle conversazioni captate dalla polizia. Un «rilevantissimo quantitativo», una «oceanica mole di dialoghi intercettati», sottolinea la gip di Catania Marina Rizza che firma l’ordinanza di custodia cautelare ricevuta da 25 persone. Una successione non improvvisata quella di Russo, imprenditore cinquantenne di Misterbianco, partito dal settore dell’abbigliamento – con una lussuosa boutique al corso Italia, a Catania, ancora neanche trentenne – per poi espandersi dov’era utile. Una successione, la sua, cresciuta nell’amicizia personale con la famiglia Santapaola, quella di sangue, e coltivata nell’affiancamento dell’ex reggente Francesco Napoli – erede, in qualità di nipote, della stirpe mafiosa dei Ferrera, Cavadduzzu – di cui Russo, secondo gli inquirenti, avrebbe preso saldamente il posto negli ultimi anni. Seppur in modo discreto, da innominabile. Troppo spesso, però, nominato senza le dovute accortezze da parte degli stessi affiliati che raccomandavano agli altri discrezione.
Il passaggio di consegne della reggenza mafiosa
«La spalla di Ciccio Napoli», «quello che cammina con Ciccio». Così Francesco Russo veniva definito quando ancora a reggere la famiglia Santapaola-Ercolano era Napoli. Almeno fino al suo arresto nel settembre del 2022. Un evento che provoca una scarsa suspense: poco più di una settimana dopo, infatti, Russo è già definito «quello che ha la patata». Così come subito chiaro sembra essere anche lo stile della sua reggenza: comunicazioni minime e affidate a uno storico componente dei Santapaola, Salvatore Mirabella, detto u paloccu, e l’operatività in mano a Christian Paternò, nominato anche responsabile del gruppo del rione San Giovanni Galermo. «Se la vede da fuori – spiega un affiliato – Neanche lo nominano. In pochi lo sappiamo. U paloccu riferisce a lui», mentre «per la strada c’è Christian». Altrettanto chiaro sembra essere il motivo dell’ascesa di Russo: la frequentazione decennale della famiglia di Nitto Santapaola – ristretto al 41 bis dal suo arresto nel 1993, dopo undici anni di latitanza – e, nello specifico, con il maggiore dei figli del capomafia, Vincenzo Santapaola: «Per la famiglia Santapaola-Ercolano c’è una persona oggi che è Ciccio Russo… Sopra di lui c’è solo lo zio Nitto ed Enzo il grande, poi non c’è più nessuno, ma gente che sono ergastolani e non escono più».
L’«amicizia fraterna» con Enzo Santapaola
La prima volta che Francesco Russo compare sulle cronache – specificatamente di questa testata – è da semplice testimone nel 2014. Nell’aula del carcere di Bicocca, durante il processo Iblis, per sostenere l’«amico fraterno da vent’anni» Enzo Santapaola, allora accusato a sua volta di essere il reggente dell’omonima famiglia e oggi in carcere. Un racconto affettuoso che ripercorre il periodo delle continue visite mediche di Santapaola dopo il grave incidente in moto di qualche anno prima: «Usciva sempre con la sedia a rotelle e si portava le stampelle per piccoli spostamenti – raccontava Russo in aula – Indossava tute, pantaloni larghi e le bretelle per cui lo prendevamo sempre in giro». Alla base della loro amicizia, continuava quel giorno, c’era un patto di ferro: prendere le distanze dall’ambiente mafioso, a cui lo stesso Russo era legato per la parentela con gli zii Maurizio e Sergio Signorino, defunti esponenti del clan Santapaola. «Vincenzo con me è sempre stato chiaro – diceva allora Russo – Se avevo intenzione di frequentare i miei zii, era meglio chiudere la nostra amicizia. E invece io ho scelto Vincenzo». Che lo avrebbe scelto a sua volta come suo portavoce in delicate missioni, come il richiamo alle armi di Santo La Causa, esponente di spicco, ex reggente della famiglia Santapaola-Ercolano, oggi collaboratore di giustizia. Ma non solo. Da uomo libero – e mai formalmente affiliato -, secondo gli investigatori che lo indagano due anni dopo nell‘inchiesta Bulldog, Russo dava una mano dalla pianificazione delle rapine alla raccolta delle estorsioni, passando per gli affari all’estero. Un non meglio precisato business a San Pietroburgo nel 2012 e, l’anno dopo, l’acquisto a Malta di alcuni macchinari per un centro estetico. In un tentativo, per l’accusa, di avviare una nuova attività utile a riciclare i soldi della famiglia mafiosa.
L’innominabile troppo spesso nominato
«Ho l’ordine che appena nominate a qualcuno vi devo rompere le corna». A parlare è Daniele Strano, affiliato nominato responsabile del gruppo della Stazione, tra i più intercettati dalle forze dell’ordine. Anche perché tra i più chiacchieroni. Nonostante le raccomandazioni di Francesco Russo – che a restare libero sembra tenerci parecchio – sarà infatti lui a nominarlo troppo spesso. Come in questa occasione in cui, raccontando un aneddoto, all’ordine del silenzio fa seguire un’inopportuna aggiunta sottovoce: «Siccome mi stava nominando a quello… a Ciccio Russo!». Strano ci prova spesso, ma sembra essere più forte di lui. Che, d’altronde, si auto-descrive come «un tipo nervoso, un tipo esaurito». Tanto da lanciare in aria i tavolini di un chiosco quando pensa che vogliano soffiargli il posto, poi riconfermato da Russo in persona. Le sue parole dirette, nelle trascrizioni giudicate utili, compaiono una sola volta: in occasione del pestaggio a colpi di mazza da baseball – e poi finito con dei colpi di pistola alle gambe – di un uomo a San Giovanni La Punta, compiuto da Russo insieme al figlio Diego e a un affiliato. «Non è stato niente, si è rotto il piede, gli ho dato botte perché è stato un pezzo di merda, quindi risolvetemi questa cosa», impartisce l’ordine Russo, secco. Per poi aggiungere, dimostrando senso pratico: «Mi accollo tutte cose io, avete ragione, ma lui non mi può dire: “Ti ammazzo, ti sparo, mi isu a tua moglie”. Fammi capire, il torto è mio?».