Da Natale di Mery per sempre a Leoluca Bagarella, da un ragazzo a cui la vita sembra aver sbattuto tutte le porte in faccia, ancor prima di aprirle, a uno dei killer più spietati della storia di Cosa nostra. In mezzo, film di successo e qualche delusione. Francesco Benigno – uno dei volti cinematografici che negli ultimi decenni hanno maggiormente rappresentato la sicilianità – torna a recitare una storia di mafia. Domani e martedì, infatti, darà corpo e voce all’assassino di Boris Giuliano, nell’omonima fiction che andrà in onda su Rai1. Portando sul piccolo schermo una delle pagine più dolorose della storia dell’Isola, con l’uccisione del capo della squadra mobile di Palermo avvenuta nel capoluogo nell’estate 1979. Proprio qui Benigno è tornato a vivere da qualche anno, dopo aver trascorso due decenni fuori dalla Sicilia.
Come è la Palermo che hai trovato? Qualcosa è cambiato?
Direi più di qualcosa. Sono partito dopo le stragi e Tangentopoli, sostenere che è la stessa città di allora non sarebbe onesto. Certo c’è ancora molto da fare, specialmente in alcuni quartieri, ma vedo attorno a me molta più sensibilità rispetto a certi temi. Senza contare che, rispetto agli anni Ottanta, oggi si vedono molti più ragazzi uscire per stare insieme e divertirsi, anche in luoghi in cui un tempo era pericoloso andare.
A cosa si deve questa crescita?
Le stragi hanno inevitabilmente lasciato un segno e portato le nuove generazioni a ribellarsi. Basta pensare alla nascita di realtà come AddioPizzo. Non sono d’accordo con chi dice che è tutto uguale, in questi anni Palermo è più speranzosa.
Che ricordi hai della città prima del tuo debutto al cinema. Quando eri un ragazzo come tanti?
Erano anni difficili. Lo si respirava nell’aria. La mafia non era e non è mai stata soltanto omicidi. Una certa influenza la si percepiva anche nella vita di tutti i giorni, per esempio, nei modi di dire. Erano gli anni in cui si usavano frasi come Si chiu sbirr’i Buscietta oppure Cuinnutu e Contoinnu (in riferimento a Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno, i pentiti su cui si poggiò l’accusa al maxiprocesso, ndr). Mi sembra che l’atmosfera oggi sia cambiata.
Ma la mafia è ancora lontana dall’essere sconfitta. Solo pochi giorni fa si è tornato a sparare sui Nebrodi.
Come ho già detto, si deve fare ancora molto. Ma mi viene anche da dire che oggi Cosa nostra non è più soltanto un fatto siciliano.
In compenso si sono aggiunte anche le grane dell’antimafia. Che idea ti sei fatto del caso Maniaci?
L’ho conosciuto anni fa. Mi sbaglierò, ma penso che sia un personaggio scomodo non solo per i criminali ma anche per chi ha il potere. Ho letto gli articoli e non mi sembrano ci siano cose scandalose.
Eppure dalle intercettazioni non esce una bella immagine del direttore di Telejato.
Il video? Guarda, anche a me può capitare di fare quelle cose. Specialmente se lavori in una piccola impresa, quando c’è una pubblicità che va pagata e i soldi non vengono dati è normale andare a chiederli. Tv come quella di Maniaci devono far fronte a spese, anche piccole, che però sono fondamentali per portare avanti l’azienda. E poi bisogna considerare le caratteristiche del personaggio.
Quali caratteristiche?
Beh, la voce e la gestualità di Maniaci possono essere fraintese. Sembrare espressione di un atteggiamento intimidatorio, quasi mafioso. E io ne so qualcosa.
Cioè?
Anni fa mi sono ritrovato a perdere opportunità lavorative, dopo che in un diverbio, eccedendo forse nei modi ma difendendo soltanto i miei diritti, mi sono trovato a dire all’altra persona di venire a dirmele in privato le cose. Ecco, poco dopo ho ricevuto una telefonata in cui mi si accusava di fare le cose alla maniera siciliana. Quasi a dirmi che, per via della mia voce e del mio modo di fare, ero stato automaticamente un mafioso.
La Sicilia sarà anche cambiata, ma certi problemi rimangono. E sono sempre più le persone che la lasciano.
Ai giovani dico di rimanere e creare una classe politica che capisca le loro esigenze. Politici che sappiano cosa significa rinunciare a una pizza con gli amici o a un cinema, per risparmiare i soldi per proseguire gli studi. Spiace vedere persone che hanno investito tempo e denaro rimanere senza nulla, neanche la speranza.
Quando però si va alle urne, si votano sempre gli stessi.
Spesso sento dire che le persone vendono il voto per un piatto di pasta. Beh, questo accade perché per molti non esiste alternativa al piatto di pasta. Cittadini che hanno la possibilità di mangiare e lavorare saranno anche elettori che voteranno con coscienza. Lo stesso discorso vale per chi scivola nella malavita: alle persone bisogna dare la possibilità di scegliere di stare nella legalità. E non sempre è così.
Cosa pensi delle fiction che parlano di criminalità. C’è chi sostiene che si corre il rischio di trasformare malviventi in personaggi da imitare.
È capitato anche a me. Un giorno, un uomo mi ha detto entusiasta che il figlio ripeteva tutte le battute proprio come le dicevo io. Gli ho risposto che se il figlio mi prendeva come riferimento, come esempio di ragazzo che ce l’ha fatta e ha trovato una sua via, ne andavo fiero. Ma se invece doveva ispirarsi ai miei personaggi allora non sarei stato contento.
In Boris Giuliano interpreterai il suo killer.
All’inizio non ho vissuto bene quel ruolo. Bagarella è un personaggio particolarmente negativo. Poi, però, mi sono concentrato soltanto sull’interpretazione, e spero di essere giudicato per quello. Ultimamente ho anche saputo che la figlia di Giuliano vuole darmi un premio per la recitazione. Quasi non ci credevo.
Quali progetti per il futuro?
Vorrei finalmente realizzare il mio lungometraggio. Si intitola Il colore del dolore. Palermo, vent’anni dopo. Parla della mia vita, del mio percorso di formazione, che non è stato facile. Mi piacerebbe puntare sulle maestranze locali e sui giovani attori palermitani, per dare loro quella possibilità che nel 1989 Marco Risi diede a me.
Com’è nella vita privata Francesco Benigno?
Felice. Dopo essermi separato dalla mia ex moglie, da due anni sto con una ragazza fantastica. Si chiama Valentina, ha studiato per diventare dietista e anche lei è una dei siciliani che meriterebbe di riuscire a realizzare ciò per cui si è impegnata a fondo.
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