«Ma non ero io che bloccavo le autorizzazioni?». Ride amaro Aurelio Angelini, ex presidente della commissione tecnico-scientifica regionale (Cts) dopo le dichiarazioni del presidente siciliano Renato Schifani che promette di bloccare le autorizzazioni per gli impianti fotovoltaici in Sicilia. Gli stessi al centro della contesa tra i due fin dalla campagna elettorale dell’attuale governatore. Che aveva promesso entro marzo una riforma della Cts per facilitare e velocizzare proprio le autorizzazioni che ora intende bloccare. «Ho sentito il grido di dolore di imprenditori che hanno abbandonato la Sicilia con target di investimenti perché questo organismo bloccava, come se non ci fosse la volontà della Regione», diceva Schifani a dicembre. In un corto circuito con il se stesso di adesso che invoca invece uno stop in nome del danno ambientale. A meno che non venga «riconosciuta una quota anche alla Regione siciliana». Su un settore, quello del fotovoltaico, in cui i dati danno la Sicilia in testa alle regioni italiane.
Professore Angelini, questo repentino cambio di rotta del presidente Schifani ha colto anche lei di sorpresa?
«Non poco, considerato che si tratterebbe di un atto fuorilegge, perché non è nella sua disponibilità bloccare le autorizzazioni. La procedura ambientale è regolata da una legge nazionale e prevede una serie di passaggi: attraverso almeno tre conferenze dei servizi con un numero che va da 20 a 40 istituzioni coinvolte, la commissione dà il suo parere in un percorso che dura dai 6 ai 12 mesi. Poi, una volta ricevuto il parere, l’assessorato firma il suo provvedimento: può accettare la proposta, bocciarla ma motivando e rimandando a successivi approfondimenti oppure approvarla in difformità del parere, se negativo. Pareri, lo ricordo, che si basano sulle norme regionali, nazionali ed europee. Quindi quando il presidente promette di bloccare le autorizzazioni è come se proponesse un abuso d’ufficio. Forse non è chiaro, ma il presidente della Regione non è il sovrano della Sicilia».
E come si spiega quindi questa svolta accentratrice?
«Io ho l’impressione che siamo di fronte a una politica che si è resa conto di come le procedure non possano essere mediate da loro perché appunto si svolgono sotto il profilo tecnico-giuridico. Non c’è mediazione politica, che è invece una fissazione dei politici: decidere cioè la sorte degli impianti, un po’ come con i termovalorizzatori, non capendo che siamo in democrazia e che esiste una separazione tra i pareri tecnici, giuridici e amministrativi e quelli politici. Il governo della Regione dovrebbe indirizzare le scelte: la Sicilia non è la bottega di Schifani, con cui può fare quel che vuole».
Qualcosa però il governo potrebbe fare: si parla da anni di concludere la definizione delle aree idonee per l’installazione degli impianti di energia rinnovabile. Non risolverebbe parte del problema posto da Schifani, cioè l’impatto ambientale?
«Il piano energetico regionale stabilisce l’individuazione delle aree idonee in cui realizzare gli impianti senza ingenerare effetti ambientali. Queste aree, però, vanno perimetrate e non è stato ancora fatto nonostante le prescrizioni che avevamo inviato come commissione. La richiesta è caduta nel vuoto con il governo Musumeci, che aveva istituito un apposito tavolo, riunito anche poco dopo l’insediamento di Schifani ma senza poi procedere. È ovvio che si debba ripartire da lì. Anche perché il presidente della Regione forse dimentica che la Sicilia deve dare il suo contributo per raggiungere gli obiettivi europei di decarbonizzazione; contributo ripartito tra le varie regioni a livello nazionale. Se poi vogliamo pensare solo al vile denaro…».
Beh, pensarci è comunque necessario.
«E allora dovremmo ricordarci che minori emissioni significano anche meno malati che pesano sulle casse regionali e un miglior benessere dei siciliani. Oltre che un passo avanti verso l’autonomia energetica che in questo momento storico è fondamentale».
Schifani si è detto interessato a un altro tipo di risparmio: quello sull’energia, con delle royalties come si fa con i Comuni. Lei che ne pensa?
«Ci sono tanti modi per la Regione per guadagnare sulle rinnovabili senza frenare, e anzi spingendo, sullo sviluppo del settore nell’Isola. Sempre il piano energetico regionale ha diviso gli obiettivi in tre comparti: mettendo a frutto le aree agricole marginali e non produttive; utilizzando le coperture delle aree industriale, artigianali e degli uffici pubblici; riconvertendo cave ed ex discariche di cui la Regione ha la disponibilità, tutte già mappate e perimetrate e vicine a stazioni di aggancio dell’energia prodotta. Queste potrebbero essere messe sul mercato e date in concessione ai privati a una tariffa competitiva rispetto ai terreni che gli imprenditori comprano adesso. Si possono insomma generare royalties usando ciò che ora non è usato. E si potrebbe fare pure di più».
Ad esempio?
«La Regione potrebbe dare chiavi in mano agli investitori un pacchetto: il suolo per l’impianto e un finanziamento tramite l’Irfis per l’investimento iniziale. Magari privilegiando le comunità energetiche di cittadini e i giovani imprenditori. Questo è lo sviluppo che sogno e su cui si dovrebbe lavorare. Ma invece noi vogliamo metterci sotto l’ombrellone con la bibita in mano e aspettare che ci diano qualche prebenda. Meno male che eravamo noi i nemici del popolo e della Sicilia…».
E invece chi sono per lei?
«Una classe dirigente spregiudicata. Io non voglio prenderla sul personale, ma le dichiarazioni di ieri di Schifani sono una sorta di confessione delle bugie che sono state dette infangando la Cts. A me sembra che stiamo tornando alla filosofia politica di Salvo Lima: Non si cala la pasta, se non siamo tutti a tavola».
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