Case costruite con le balle di fieno, riscaldate con pannelli termici, dotate di orto e frutteto. Dopo il terremoto del 6 aprile 2009, a LAquila cè chi pensa a una ricostruzione che è tutto il contrario della new town governativa: ecosostenibile e comunitaria, perché «nella mia terra decido io come restare»
Forti come la paglia
«Adesso qui servono i giovani. Il terremoto ci ha tolto il dubbio su dove investire le nostre energie». Isabella Tomassi ha 26 anni, è laureata in Filosofia e vive in una casa con i muri di fieno. Che si è costruita (quasi) da sola. Abita a Pescomaggiore, un comune di montagna in provincia de L’Aquila ricoperto di neve e con soli 44 abitanti. Prima che il terremoto del 6 aprile 2009 sconvolgesse una parte dell’Abruzzo: adesso il sisma ha completato l’opera di spopolamento. Ma, come Isabella, non tutti sono andati via.
«Per rimanere qui avevo bisogno di una forte motivazione», racconta Filippo Tronca, giornalista, qualche anno più grande di lei. «Decido io come restare nella mia terra, nessuno può arrogarsene il diritto». Il riferimento è alle new town berlusconiane, prefabbricati spersonalizzati e già mal ridotti. Filippo e Isabella, insieme ad altri cittadini di Pescomaggiore, hanno deciso di mettere in piedi il progetto Eva : un eco-villaggio autoricostruito. Abitazioni ecosostenibili e autonome, su terreni concessi in comodato d’uso. Ne nasceranno sei, di cui quattro sono quasi ultimate. Una di queste resterà sempre a disposizione dei circa 250 volontari che hanno aiutato a costruirle.
Nella versione con una o due stanze, oltre a cucina e bagno, queste case hanno le pareti in balle di fieno – unite tra loro con pioli di legno e ricoperte di stucco – e sono illuminate da grandi finestre. Il soffitto ha una struttura in legno, mentre i pavimenti sono in cemento bianco mischiato a un particolare solvente, che lo trasforma in un caldo tappeto arancione. Le mattonelle dei bagni sono recuperate dagli espositori, così come le stanze verranno arredate solo con i mobili delle case crollate durante il terremoto. L’acqua arriva direttamente da una sorgente vicina e viene riscaldata con pannelli termici. In primavera saranno pronti anche i fotovoltaici per l’energia, donati da un’associazione romana.
Il costo per realizzare queste case è di 550 euro a metro quadro: circa un quarto di quello dei prefabbricati messi a disposizione dal governo. «Ma se cominci a indebitarti con le banche, come minimo porta sfiga», scherza Filippo. Per questo loro si sono affidati alle donazioni. Con i primi 160mila euro hanno fatto partire il progetto, cercando di rivolgersi per lo più ad artigiani aquilani, «esclusi dalla ricostruzione, che è stata affidata alle aziende del nord». E proprio dal nord venivano anche i due architetti che hanno aiutato gli abitanti di Pescomaggiore nella fase iniziale. Un incontro casuale in una tendopoli, l’idea e poi la scelta dei due professionisti, per abbandonare il progetto governativo di ricostruzione e investire nelle case di paglia. «Sono stati fianco a fianco con noi da settembre a febbraio», racconta Filippo, «hanno fatto di tutto, anche i muratori».
Una volta finiti i lavori, gli inquilini pagheranno un affitto di 400 euro al mese, che servirà per finanziare altri progetti. Perché lo scopo reale, spiega Filippo, è passare «da un’edilizia d’emergenza a un polo d’attrazione». Una sorta di villaggio autonomo, basato su un’economia di sussistenza. Insieme alle case ci sono già un frutteto con una ventina di alberi diversi e poi coltivazioni di grano, farro e patata turchesa. Ma soprattutto lo zafferano, decine di barattolini già pronti da vendere che Filippo mostra orgoglioso. Mancano ancora l’orto, l’apicoltura e la ristrutturazione dello storico forno del paese. Un modo per recuperare la memoria e, anche in questo caso, produrre all’interno quello di cui si ha bisogno, come il pane.
«Qui siamo un gruppo di persone», spiega Isabella, «Anche se ognuno con la sua vita. Insieme si sta meglio, perché ci si aiuta». A Pescomaggiore vogliono costruire una comunità, «da 0 a 80 anni»: dalla bambina che sta per nascere alla coppia di anziani signori, all’inizio diffidenti. «Vallo a spiegare che si può vivere bene anche in una casa di paglia», sospira sorridendo Isabella.
Una comunità che ha bisogno anche di spazi sociali. Così le cantine potrebbero diventare laboratori e la scuola del paese, ristrutturata, potrebbe ospitare un emporio, oppure un bar. «E poi la richiesta di altre case», conclude soddisfatto Filippo, «è anche un’occasione per creare lavoro».