Formazione, Confindustria Sicilia si vuole prendere tutto

Via ai Poli tecnico-professionali di filiera. Passa il principio che la formazione professionale, per continuare a esistere, deve creare posti di lavoro. Scardinata l’impostazione del Legislatore regionale del 1976 che, all’articolo 1 della legge n.24, indica la finalità della formazione professionale erogata in Sicilia.

Secondo la citata legge, “l’azione formativa è diretta a realizzare un servizio pubblico che favorisca lo sviluppo della personalità , della cultura e delle capacità tecniche dei lavoratori, e potenzi le occasioni di più elevata capacità professionale, onde agevolare l’ allargamento delle possibilità di occupazione”.

Il nuovo concetto di Polo formativo è previsto dai commi 5 e 6 dell’articolo 61 della legge di stabilità regionale (A.1 Gov) depositata ieri dal Governo regionale all’Assemblea regionale siciliana (Ars). Riportiamo di seguito il testo.

Il quinto comma recita: “La Regione, allo scopo di migliorare la qualità dell’offerta formativa tecnica e professionale e favorire l’occupazione giovanile nonché la competitività delle filiere produttive territoriali, con particolare riguardo a quella turistica, agroalimentare, delle energie rinnovabili e della nautica, nell’ambito dell’attuazione del Piano di azione coesione (PAC), destina 18.000 migliaia di euro alla promozione, tra le istituzioni formative, le istituzioni scolastiche, le università, i centri di ricerca, le imprese e altri soggetti pubblici e privati, di programmi e accordi volti alla costituzione di Poli tecnico-professionali di filiera”.

Mentre il sesto comma dispone: “I poli di cui al comma precedente, quale modalità organizzativa sul territorio costituita attraverso accordi rete da almeno due istituti tecnici e/o professionali collegati con un centro di formazione professionale e almeno due imprese della filiera produttiva di riferimento, offrono percorsi e servizi sull’intera filiera professionalizzante individuata sulla base della vocazione produttiva dei territori, fino all’istruzione e formazione tecnica superiore e alla formazione continua e permanente, secondo modelli adeguati ai contesti territoriali e attraverso un attivo coinvolgimento dei diversi attori, educativi e socioeconomici”.

Cambia, quindi, l’impostazione del modello formativo regionale. Le insistenti voci che rincorrevano nei giorni scorsi circo un accordo romano tra il presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, e i vertici di Confindustria Sicilia sembrerebbero confermati dal richiamato articolo 61.

La formazione di qualità, alla quale ha fatto ripetutamente riferimento l’assessore regionale per l’Istruzione e la Formazione professionale, Nelli Scilabra, si concretizzerebbe in un accordo di rete tra scuola statale, Ente di formazione e imprese presenti sul territorio. Un vero e proprio papocchio.

Due i rilievi. Primo: di quale scuola statale parliamo? Gli istituti tecnici professionali raramente hanno sfornato giovani già pronti per il lavoro e meno che mai occupati diretti.

Secondo: si parla delle imprese: quali? La Sicilia è caratterizzata da un sistema di piccole e piccolissime imprese, spesso familiari. La crisi economica devastante ha indebolito il sistema produttivo siciliano, fino a ridurlo ai minimi termini.

Diciamo le cose per come stanno: la proposta del Governo regionale celerebbe, ancora una volta, l’interesse di Confindustria all’ingresso nel “business della formazione professionale”. Anche la scelta delle filiere turistica, agroalimentare, delle energie rinnovabili e della nautica, sulle quali puntare per migliorare la qualità dell’offerta formativa tecnica e professionale e favorire l’occupazione giovanile lascia perplessi, se non altro per l’assenza di una condivisione con le parti sociali del sistema formativo regionale.

Un approcci che appare autoreferenziale e che fa emergere un atteggiamento quasi sfrontato del Governo regionale e, soprattutto, di Confundustria Sicilia, diretto al perseguimento di finalità che probabilmente esulano da una vera riforma della formazione professionale.

La verità è che gli industriali siciliani, che di industrie ne hanno poche, vogliono mettere le mani sui fondi della formazione professionale e, segnatamente, sul grande boccone della futura Programmazione del Fondo sociale europeo che, guarda caro, partirà il prossimo anno.

La domanda a questo punto è: che fine faranno i 10 mila dipendenti della formazione professionale siciliana? La nostra sensazione è che, in questo momento, nessuno è in grado di dare una risposta a questo interrogativo. Un fatto è certo: se Confindustria Sicilia metterà le mani sulla prossima Programmazione dei fondi europei vorrà campo libero anche sul personale. Con tutto quello che ne potrebbe conseguire.

Le stesse modifiche al sistema di accreditamento confermano l’intento di consegnare il sistema formativo a Confindustria Sicilia. Al punto E) della “Scheda di sintesi sulle principali modifiche apportate al sistema di accreditamento” si fa espresso riferimento all’accordo di rete col territorio, le scuole e con il mondo delle imprese con un vincolo alla creazione di effettiva occupazione di almeno il 10 per cento dei corsisti (tasso di efficacia progettuale) pena il declassamento dalla tipologia di accreditamento o l’espulsione dallo stesso sistema.

Un approccio che continua a non convincere e che stranamente non registra la presa di posizione delle parti sociali.

 


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Via ai poli tecnico-professionali di filiera. Passa il principio che la formazione professionale, per continuare a esistere, deve creare posti di lavoro. Scardinata l’impostazione del legislatore regionale del 1976 che, all’articolo 1 della legge n. 24, indica la finalità della formazione professionale erogata in sicilia.

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