Il costruttore di Belpasso ha vissuto per decine di anni nella morsa dell'usura. Il 17 giugno 2009, dopo aver perso tutto, sceglie di raccontare la sua storia agli agenti della questura di Catania. Inizia così una nuova vita da «persona libera», che ha deciso di riassumere nelle pagine di un libro
Fiore, l’imprenditore che ha denunciato i Bosco «Vittima di 20 usurai, ho pagato interessi enormi»
Salvatore Fiore oggi si definisce «una persona libera». Tre parole che pronuncia decine di volte durante l’intervista, come a volersi togliere un peso. Lo stesso che lo ha imprigionato per anni, nella morsa di venti usurai. Il rapporto con i suoi estorsori inizia a metà degli anni novanta e si conclude definitivamente il 17 giugno 2009. Giorno in cui l’imprenditore edile di Belpasso trova il coraggio di andare negli uffici della questura di Catania per denunciare i suoi aguzzini. Dalle sue dichiarazioni partono alcune inchieste, si definiscono vecchie indagini ed emergono nomi eccellenti. Su tutti, la famiglia Bosco. Imprenditori in ascesa nel settore della ristorazione e dei supermercati che a febbraio 2014 finiscono in manette nell’operazione Money lander. Salvatore Fiore – che ancora riceve minacce, tra cui una lettera intimidatoria – ha deciso di riassumere la sua storia nel libro Fiore… tutto a posto? scritto da Anna Milazzo, che vuole essere: «Un prezioso sostegno a chi è insicuro e si trova ad affrontare situazioni come la mia».
Chi è oggi Salvatore Fiore?
«Sono una persona libera e faccio il costruttore a Belpasso, il lavoro che ho sempre sognato. La mia vera attività è iniziata a 42 anni, perché prima ho fatto questo mestiere solo per pagare gli usurai. I miei rapporti con queste persone iniziano a metà degli anni novanta, quasi per caso, fidandomi di un mio fornitore. Dovevo coprire un assegno da 17 milioni di lire e mi disse che poteva aiutarmi a trovare il denaro. Pensavo fosse un semplice prestito; quando però iniziai a ritardare con i pagamenti mensili, mi spiegarono che si trattava di un prestito a usura a cui applicavano un interesse del dieci per cento».
E poi che è successo?
«Ho iniziato a pagare gli interessi. In un’occasione, non potendolo fare perché non avevo la disponibilità economica, mi vennero a suonare a casa alle sei di mattina, dandomi quattro ore di tempo per coprire il mio debito. Non avendo i soldi, sono stato costretto a rivolgermi a un altro usuraio. Con il suo prestito sono riuscito a pagare gli interessi maturati con i primi strozzini, e con i soldi che mi rimanevano andavo avanti. Si tratta di un vero e proprio meccanismo nel quale è facile entrare ma molto complicato uscire. Inizialmente dentro di me avevo la sensazione di poterlo fare quando avrei voluto, ma non è stato così».
Che persone erano?
«Ricordo a memoria uno di loro, era quasi perfetto. Giacca, cravatta, camicia bianca, girava con la calcolatrice. Veniva da me, gli dicevo quanto mi serviva e in tempo reale mi calcolava la percentuale dell’interesse».
Leggendo la sua storia emerge come, alla base di questi contatti con gli usurai, ci sia sempre un intermediario.
«Le prime volte, nel passaggio da un usurario all’altro, c’è sempre la presenza di una persona insospettabile che fa da tramite. Lo possiamo chiamare l’amico buono che ti indirizza. Poi una volta che capisci come funziona il meccanismo, non c’è bisogno di nessuno. Sono gli stessi usurari a mandarti da altri strozzini amici loro, pronti a darti dei prestiti».
Dalla metà degli anni novanta fino a quando ha denunciato, a quante persone ha chiesto soldi?
«Non riesco a conteggiarli. Ho denunciato in totale trenta persone, almeno venti prestavano denaro. I tassi che mi applicavano variavano dall’otto al dodici per cento».
Quando si parla di usura, normalmente si pensa a prestiti in contante o attraverso assegni. Nella sua esperienza, è stato così?
«Prima delle legge antiriciclaggio del 2007 non c’erano problemi nel versare denaro. Poi si è passati agli assegni di 4990 euro per aggirare la tracciabilità. Per gli importi superiori si facevano invece delle fatture, documenti falsi per forniture mai avvenute; ho fatturato per quasi un milione di euro. La stima precisa di quanti soldi ho pagato agli usurai credo non si possa fare. Gli assegni intestati a me stesso ammontano a un milione e 800mila euro, mentre quelli intestati direttamente agli usurai, secondo una stima parziale che ha fatto la guardia di finanza, ammontano a oltre 450mila euro».
Un giorno però trova la forza di denunciare. Com’è andata?
«Il 17 giugno 2009, dopo le ennesime minacce, confidai a un amico di voler denunciare. Siamo andati insieme in questura a Catania; agli agenti chiesi solo di poter fumare e iniziare a parlare. Più cose raccontavo, più sentivo la vicinanza di queste persone, mi trasmettevano sicurezza anche con battute ironiche. Mi diedero i loro numeri di cellulare, dicendomi che avrei potuto chiamarli anche di notte, se avessi avuto bisogno. Avevo tanta paura, ma tutte queste piccole cose mi diedero una grande forza e sicurezza».
Dopo le prime denunce, continuano però le minacce. Uno di questi episodi è anche emerso durante un processo.
«Un giorno mi dissero al telefono: “Salvo affacciati dal balcone”. Io risposi che non avevo nessun balcone, ma loro insistevano dicendomi che avevano mia figlia. Mi passarono una bambina che chiamava il padre chiedendo aiuto. Era chiaramente un errore perché mia figlia era a lavoro. Poi, nel 2012, arrivò una lettera con cui altre persone mi chiedevano il pizzo per un’opera che stavo realizzando; dopo otto mesi mi cercarono ancora perché volevano centomila euro. Ho subito chiamato i carabinieri, non mi sono nemmeno preoccupato, ho mandato tutto agli agenti e basta».
Perché ha scelto il titolo Fiore… tutto a posto? per il suo libro?
«È la domanda magica che mi rivolgevano gli agenti di polizia per sapere come stavo. Per me hanno fatto qualcosa di indimenticabile. Non sono gesti eccezionali, ma è la loro normalità, per tutti coloro che denunciano».
La sua storia vuole essere un sostegno per le persone in difficoltà che vivono una situazione simile alla sua. Qual è il messaggio che vuole mandare?
«Dico di denunciare perché significa liberarsi e non essere sottomessi. Lavori per te stesso e non per gli usurai. Se ci sono riuscito io, perché non dovrebbero riuscire gli altri? Non sono coraggioso, ho soltanto scelto di liberarmi. Prima non ero nessuno, ero imprenditore solo sulla carta, ora sono una persona libera».