Quando si pensa, da profani, all’arte contemporanea è facile ripercorrere quella scena de La grande bellezza in cui l’artista, completamente nuda, si scaglia di testa contro una colonna di un antico acquedotto per poi, insanguinata, gridare al pubblico «Io non vi amo». Applausi sì, ma che significa?
A Ficarra, nel Messinese, l’arte contemporanea non è niente di tutto questo. Mauro Cappotto e il suo progetto Ficarra_Contemporary Divan hanno piantato, fatto germogliare e radicare un nuovo senso civico, una inedita sensibilità sociale che fa del prodotto artistico solo il pretesto per solidarizzare e approfondire la conoscenza reciproca tra uomini. Un do ut des in cui l’opera è un aspetto, l’ultimo: conta il processo produttivo, un sentiero conoscitivo che genera amore per un territorio e che porta chi vi lavora a promuoverlo. Niente cubi viola o sculture di nudo fluorescenti in mezzo ai panni stesi di zia Peppina, dunque; ma arricchimento, ricerca storica, sviluppo economico e sociale.
L’iniziativa di Cappotto prende le mosse sul finire degli anni ’80, quando, dopo anni a Firenze, torna nella propria terra e concepisce questa «operazione multipla di integrazione con il territorio»: invita artisti da tutta Italia, ma anche internazionali, e li fa soggiornare a Ficarra con l’obiettivo di creare opere che si legheranno a quella terra non invadendola. «Le residenze artistiche – spiega Carmelo Nicotra, talento favarese coinvolto nel progetto – sono una pratica in voga nel nostro settore, l’artista contemporaneo ne ha bisogno per arricchire il proprio curriculum; ti fermi in un luogo per un mese circa e produci un progetto pensato per quel posto; crei fuori dai parametri convenzionali, poi, magari, l’opera verrà installata in spazi istituzionali come musei e gallerie».
L’idea di Cappotto, ante litteram in Sicilia, inserisce Ficarra in circuiti italiani e internazionali, dove curatori, critici, galleristi e artisti hanno modo di conoscere l’Isola e i suoi ingegni, per, a loro volta, farli conoscere al mondo. Il progetto negli anni cresce: «Dopo le multi residenze, nel 2007 inauguriamo la Stanza della Seta, nel cuore di Palazzo Milio e dedicata a Lucio Piccolo, poeta legato all’occultismo che portò in Sicilia anche Aleister Crowley, lo stesso a cui Ozzy Osbourne chiedeva “cosa ti passa per la testa?”». Nel 2012 il progetto si sviluppa e nel 2014 viene approvata l’erogazione dei fondi europei che, oggi, hanno permesso di convogliare tra luglio e agosto il contributo di ben 22 artisti sulle montagne che guardano Capo d’Orlando e i suoi limoni. I venti artisti, giovani e meno giovani, divisi in due tranches da dieci e seguiti da un curatore senior e uno junior, hanno partecipato ad una summer school che li ha portati a lavorare in site-specific e, infine a regalare la propria opera alla città di Ficarra.
Hugo Canoilas e Lois Weinberger sono stati, invece, i padrini internazionali della kermesse. Anche il sindaco del paese dei Nebrodi, Basilio Ridolfo, è stato parte attiva del progetto: «Era sempre presente – continua Nicotra – veniva addiruttura agli after». Ma negli ultimi due mesi, e fino a novembre (tanto durerà l’esposizione), non c’è stato solo benessere spirituale e divertimento: «Abbiamo realizzato in quattro mesi il lavoro che nel progetto è spalmato su due anni – continua Cappotto – e ciò deriva anche da come vengono gestiti i fondi strutturali in Sicilia».
Il risultato, però, è stupefacente: dalla tela di 120 metri quadrati che copre un monastero a cielo aperto e raffigura la prospettiva di un verme che guarda gli strati di materia sopra di sé, al peschereccio in montagna installato nel centro storico, fino alle opere nelle vetrine della pescheria, del frantoio e del vecchio ufficio di collocamento; e al tributo al novantenne Nino, rigattiere dal 1953: una scritta in ferro posizionata sul tetto del museo, in stile Hollywood, che simboleggia il rapporto dell’anziano con la sua attività commerciale, dove l’insegna propria del negozio è sostituita, da sempre, da quella dell’Agip, che l’uomo cura in maniera viscerale. Ed è forse con quest’ultima opera che si può cogliere il senso di un’arte contemporanea che, lungi dall’essere velleitaria, diventa funzionale e socialmente utile. Come «l’insegna sull’insegna, che non è un’insegna». Capito, no?
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