Per la magistrata, creatrice di un pool che all'interno della procura si occupa di abusi e violenze, nel caso dell'assassinio di Giordana Di Stefano «il processo penale non c'entra niente». Tra la denuncia di stalking e la prima udienza sono passati due anni, un dato in linea con i circa 600 giorni medi della giustizia italiana
Femminicidio Giordana, variabile nella statistica Marisa Scavo: «Cause spesso sono imprevedibili»
Perché sono passati due anni tra la denuncia per stalking e la prima udienza preliminare? E, soprattutto, com’è stato possibile che la vittima abbia vissuto così a lungo accanto all’uomo che 24 mesi dopo avrebbe confessato di averla colpita con 40 coltellate? Nelle ore successive al femminicidio di Giordana Di Stefano, la ventenne uccisa a Nicolosi nella notte del 7 ottobre, sono state queste le domande principali. «Sì, sono stato io… ho perso la testa, non volevo ucciderla». L’ex compagno Luca Priolo, con il quale la giovane ha avuto una bambina di quattro anni, ha confessato il delitto agli inquirenti di Milano, città dove è stato arrestato dopo essere fuggito. Cosa è andato storto tra quando Di Stefano ha sporto querela, alla vigilia della prima udienza?
«Il processo penale non c’entra niente. È andato avanti benissimo con i tempi, con quello che presentava il caso. Quindi il rimedio non era certamente giudiziario». Marisa Scavo, procuratrice aggiunta di Catania, è netta. Scavo da anni ha creato un gruppo all’interno della procura che si occupa di maltrattamenti e abusi su donne e minori. L’azione giudiziaria, sostiene, è in linea con quella che è la normalità in questi casi. Lo confermano i dati forniti da Alessandra Mancuso, giornalista del Tg1 e componente di Giulia – Giornaliste unite libere autonome. «La durata media del procedimento per stalking è di 587 giorni – afferma Mancuso – Tra l’inizio dello stalking e la prima denuncia passano quasi dieci mesi».
Un altro dato che fa riflettere è quello relativo al legame tra le denunce di molestie e le conseguenze più estreme: «Il 15 per cento dei femminicidi sono partiti da stalking», dice Alessandra Mancuso. Un aspetto della normativa in vigore solo da due anni, criticato in più occasioni dalla procuratrice, è la possibilità di poter ritirare una querela. E sarebbe proprio la richiesta di non dare seguito alla denuncia una delle discussioni affrontate da Giordana Di Stefano e il suo presunto assassino.
«Ogni caso è diverso dall’altro», precisa a MeridioNews Marisa Scavo. «Noi diamo alla polizia giudiziaria delle direttive molto puntuali e precise – spiega – Quando vediamo fin dall’inizio che i casi sono particolarmente gravi, perché già dalla denuncia della vittima emerge che si tratta di un soggetto violento, affidiamo subito la richiesta di una misura coercitiva graduandola a seconda della gravità dei casi». Al contempo le forze dell’ordine danno «tutte le informazioni alla persona offesa» e anche «i recapiti telefonici per eventualmente fare interventi immediati». Un modello che a Catania «sta funzionando molto bene», assicura Scavo. Ma non è esente da eccezioni.
A margine della conferenza stampa sul femminicidio di Nicolosi, il reggente della procura etnea Michelangelo Patanè ha parlato di «sentimenti violenti che si scatenano all’improvviso. E non servono eventi che facciano ipotizzare quello che è successo». «Le cause molto spesso sono imprevedibili – conferma Marisa Scavo – perché prima non c’è nessun campanello d’allarme. Capita che alcuni casi non si possano davvero prevedere. Soprattutto quando ci sono ancora delle relazioni affettive che continuano a essere coltivate o quando – prosegue – tra i due soggetti, tra la vittima e l’aggressore, ci sono dei figli in comune».
Per questa ragione secondo la magistrata è la prudenza un elemento importante. «Non incontrare mai questi soggetti in luoghi solitari o da soli, pensando che possano essere cambiati o che loro possano riuscire a cambiarli».