Il sostituto procuratore Alfredo Morvillo ha parlato dell'indagine per verificare se ci siano state carenze nel sistema penitenziario all'origine della fuga di Adriano Avolese, Massimo Mangione e Giuseppe Scardino. Tutti fermati questa notte mentre cercavano di abbandonare l'isola a bordo di un gommone
Favignana, l’arresto dei tre uomini evasi dal carcere «Dubbi su mancato funzionamento delle telecamere»
Per cinque giorni sono riusciti a far perdere le proprie tracce, dopo la fuga dal carcere di Favignana di sabato scorso. La loro latitanza è finita questa notte all’una quando Adriano Avolese, Massimo Mangione e Giuseppe Scardino sono stati rintracciati dai carabinieri e dagli agenti della polizia penitenziaria al molo di Punta Longa. Complice il buio e il mare piatto i tre stavano cercando di rubare un’imbarcazione per raggiungere la costa di Marsala che dista circa un quarto d’ora di navigazione.
Alla vista dei militari, Avolese e Scardino si sono gettati in mare. Mangione ha invece tentato di fuggire attraverso i campi. «La fuga dei tre – ha sottolineato il procuratore Alfredo Morvillo, nel corso della conferenza stampa che si è tenuta al comando provinciale dei carabinieri – non è da collegare alle carenze dell’istituto penitenziario dotato di tutti i dispositivi di sicurezza. Le indagini proseguono per individuare se vi siano state carenze sia sotto l’aspetto colposo che doloso all’interno del carcere. Stiamo anche verificando – ha proseguito il magistrato – se realmente in quei giorni le telecamere di sorveglianza non erano in funzione».
Subito dopo l’arresto, i militari dell’arma e gli agenti della polizia penitenziaria si sono messi alla ricerca del covo dei tre fuggiaschi. Per gli investigatori è da escludere che abbiano dormito all’aperto. Per il comandante della stazione di Favignana, il maresciallo Francesco Di Girolamo, è verosimile che i tre abbiano trascorso la loro breve latitanza all’interno di qualche villetta sfitta. I tre, nella notte tra venerdì e sabato scorso, dopo aver segato le sbarre della cella e avere imbavagliato un quarto detenuto, erano riusciti a salire sul tetto e calarsi sul muro di cinta utilizzando delle lenzuola.
I tre sono criminali di spessore. Avolese, nel 2002, insieme al padre, il fratello e una quarta persona, uccise a bastonate Sebastiano di Rosa, all’epoca dei fatti 24enne. La vittima sarebbe stata attirata a casa della famiglia Avolese per un chiarimento in merito alle attenzioni riservate alla nuora di Avolese, finendo però per essere attirato in una trappola. Dopo il delitto Avolese provò a simulare il furto dell’auto, trovata a poca distanza dal corpo senza vita di Di Rosa. Scardino e Mangione, invece, sono stati protagonisti, il giorno di ferragosto del 2007, della sparatoria di via Messina a Scoglitti. Insieme a un terzo uomo, aprirono il fuoco contro due poliziotti fuori servizio che li avevano riconosciuti in quanto latitanti. A impedire loro di uccidere un agente fu soltanto il caso: la pistola puntata in volto si inceppò. Nella fuga, il gruppo sparò altri colpi ferendo anche una donna e causò un incidente.
Adesso è caccia ai complici. Per gli investigatori, infatti i tre sono stati aiutati a pianificare l’evasione. Un piano apparentemente perfetto, mandato in fumo solo a causa delle avverse condizioni meteo la notte dell’evasione. «Oltre a ricostruire i loro movimenti in questi giorni – ha concluso il comandante provinciale dei carabinieri, colonnello Stefano Russo – bisogna chiarire se i tre sono stati aiutati da qualcuno all’interno o all’esterno del carcere».