Alla presentazione del libro di Viviano e Ziniti sui veleni alledificio 2 della Cittadella, si insiste sui molti silenzi e sulla poca informazione nella nostra città. A breve la chiusura delle indagini che dovrebbero far chiarezza su morti e malattie
«Farmacia? Una storia catanese»
«Una storia scioccante, una storia paradigmatica, di quelle che possono verificarsi solo a Catania, una città a democrazia sospesa». Così Alfio Sciacca, giornalista del Corriere della Sera, introduce la presentazione del libro inchiesta “Morti e silenzi all’università” di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti, giornalisti di Repubblica, presentato ieri alla libreria Tertulia di Catania.
«Quando si entra in una logica di asservimento e di paura, tanto da mettere a rischio la stessa salute, si ha chiara percezione che qualcosa non funziona come dovrebbe», prosegue il corrispondente, sottolineando come il “caso Farmacia” rappresenti lo specchio di una città malata, «una città che non ha gli anticorpi per difendersi. Dimostrazione ne è un Ateneo che, per dire quello che pensa, ha bisogno di pagare una pagina mensile al giornale cittadino», afferma il giornalista del Corriere. «Se l’università, che dovrebbe essere luogo di eccellenze, diventa luogo di asservimento e di potere, i silenzi di cui si fa voce il libro fanno paura», aggiunge.
«Non vogliamo dare l’impressione che paghiamo per questi silenzi, che anzi non vogliamo ci siano» risponde il rettore dell’università di Catania, Antonino Recca, che ha voluto essere presente «per un breve saluto». Il Magnifico loda il lavoro di Viviano e Ziniti: «Un meccanismo di riflessione importante che ci mette nelle condizioni di valutare le situazioni e migliorarle». Ma torna a lamentare la «gogna mediatica» che ha subìto l’Ateneo. Non è mancata una coda polemica sulla sede dell’incontro. Gli autori avrebbero voluto presentarlo all’Università, ma il rettore – come ha annunciato ieri ai microfoni di Radio Zammù – dà piena disponibilità a dibattiti di questo tipo all’interno dell’Ateneo non appena sarà conclusa la fase preliminare dell’indagine giudiziaria.
Ma torniamo al libro-inchiesta, che molto sta facendo discutere, non solo a Catania. “Morti e silenzi all’università” ripercorre la storia dell’edificio 2 della Cittadella e della sua contaminazione e raccoglie non solo gli atti giudiziari, ma anche molte (inedite) testimonianze personali. Dieci morti e 26 malati, questi sono i tragici numeri riportati dai due giornalisti de La Repubbica. Lì dentro c’è la voce di Emanuele Patanè, ricercatore morto a 29 anni per un tumore ai polmoni che, scrivendo un diario, ha lasciato una prova inoppugnabile su ciò che avveniva all’interno dei laboratori. «Il racconto di un giovane che stava morendo e ha visto gli altri morire», spiega l’autrice Alessandra Ziniti. «Non voci di gogna, come spesso ha detto il rettore – aggiunge la giornalista – ma voci della vergogna. Tutti sapevano ma per il buon nome dell’università nessuno ha parlato. Questo è scandaloso. Ecco perché questo libro rappresenta per noi una battaglia di civiltà».
Sotto il profilo giudiziario «ancora non c’è nessun imputato», spiega l’avvocato Santi Terranova, legale di alcune famiglie dei morti e malati che si presumono vittime dell’inquinamento ambientale riscontrato nel sito. «Il risultato dell’incidente probatorio dice che l’università ha sbagliato. Avrebbe infatti dovuto valutare il rischio chimico ad un livello molto più elevato di quanto ha fatto. La qual cosa l’avrebbe obbligata a svolgere degli accertamenti sanitari all’interno della sua struttura per salvaguardare le persone che ivi lavoravano», spiega l’avvocato Terranova. «Ho avuto oggi stesso conferma dal pm Lucio Setola che a breve verranno inviate le notifiche di conclusione della fase preliminare dell’indagine. Sarà allora che prenderà avvio la seconda indagine, quella che dovrà accertare la presunta relazione tra l’inquinamento ambientale del sito e le morti e malattie riscontrate», aggiunge il legale. «La mia causa in parte l’ho già vinta. Un risultato l’abbiamo ottenuto. Adesso c’è maggiore attenzione da parte di chi deve vigilare sulla sicurezza dei laboratori e allo stato attuale non sussiste alcun pericolo. Ma ora spero in un rinvio a giudizio per “strage colposa”».
A chiudere l’incontro, diversi interventi sul tema della cattiva informazione. «Molti studenti non si rendevano effettivamente conto del rischio, altri tutt’ora non sanno cosa sia successo» racconta Francesco Marino, studente di Farmacia. Una proposta arriva da Giovanna Regalbuto. Dato che «il problema di questa città è l’informazione», si possono distribuire fotocopie di copertina e indice del libro inchiesta a firma Viviano e Ziniti. «Non ho intenzione di fare rumore, ma voglio essere la serpe in seno, iniziando dalla Cittadella Universitaria». E poi a prendere la parola è un ex docente a contratto della Dau (Dipartimento di Architettura e Urbanistica), Vincenzo Milona, che conclude: «Fare l’insegnante vuol dire ricoprire in parte la figura genitoriale. Un genitore che uccide i propri figli non è ammissibile. Da quest’anno ho deciso di abbandonare l’università».