Farmacia, chiesti a Unict danni per due milioni  L’accusa: «L’ambiente di lavoro era malsano»

Il 17 ottobre dello scorso anno il tribunale di Catania ha assolto otto tra docenti e dirigenti dell’università di Catania per la vicenda relativa ai cosiddetti laboratori dei veleni di Farmacia. Una pagina complessa per la storia dell’ateneo e della città iniziata nel 2008 con il sequestro dell’edificio 2 della cittadella universitaria. Trascorsi 13 mesi dall’assoluzione, oggi è stato presentato il primo di una serie di ricorsi al tribunale del lavoro. Si tratta di una richiesta di risarcimento danni valutata in oltre due milioni di euro della quale Unict è chiamata a rispondere. La prima istanza è quella presentata dai familiari di Agata Annino, la dottoranda morta nel giugno 2005 a causa di un raro tumore all’encefalo. 

«L’esame ampio e dettagliato della vicenda consente di poter affermare con certezza che l’ambiente dei laboratori del dipartimento di Scienze farmaceutiche, nel periodo di tempo in cui la dottoressa lo frequentò per ragioni di studio e di lavoro, fosse quantomeno, ma si tratta di un eufemismo, malsano», si legge nel testo del ricorso. Circostanza derivata dal fatto che «l’università di Catania in persona del rettore, nonché coloro i quali hanno rivestito ruoli di vertice nell’ambito della facoltà di Farmacia, hanno disatteso le norme dettate in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro». 

Alla base del ricorso presentato dall’avvocato Santi Terranova c’è la sentenza di assoluzione alla quale nessuna delle parti ha fatto appello. Nelle motivazioni, il collegio guidato dalla giudice Ignazia Barbarino scrive dell’assenza di una «prova piena, incontrovertibile» della contaminazione del terreno dove sorge la struttura universitaria. Nel processo emergono testimonianze di sversamenti e lettere interne all’ente universitario nelle quali si descrivono preoccupazioni sempre crescenti. Tanto da portare la commissione creata appositamente per risolvere il problema a coinvolgere una ditta specializzata in bonifiche di siti industriali. A questo si aggiunge l’errata valutazione del rischio chimico – che secondo i periti sentiti in aula avrebbe dovuto essere più elevato – e l’elenco delle sostanze chimiche utilizzate, tra le quali sono incluse molte di tipo cancerogeno. Tra le prove a sostegno del ricorso di oggi, il legale include pure il memoriale di Emanuele Patanè. Collega di Agata Annino, morto sei mesi prima della donna, per un tumore ai polmoni, poco dopo aver scritto il documento che ha permesso l’apertura di due procedimenti

Nel testo presentato stamattina l’avvocato denuncia come «veniva tollerato lo sversamento dei reflui di laboratorio direttamente negli scarichi dei lavandini, non essendo predisposto l’obbligatorio sistema di raccolta e smaltimento», «difettavano in maniera cronica i sistemi di aerazione degli ambienti», «non venivano regolarmente approntati i più elementari presidi di sicurezza e prevenzione». «Sono stati assolti perché mancava l’elemento oggettivo della contaminazione», spiega a MeridioNews Santi Terranova. «Ma nella sentenza viene messo in rilievo come là dentro si lavorasse male, tanto da rendere l’ambiente pregiudizievole dello stato di salute». 

Anche gli studenti, precisa, «sono legati da un rapporto di lavoro all’università. L’ente, dal canto suo, deve garantire la salubrità». I casi che si aggiungeranno a quello di Agata Annino «saranno valutati singolarmente. Perché ogni situazione, sia delle persone decedute che quelle ammalatesi, è diversa». Il processo per omicidio colposo plurimo è stato archiviato poche settimane fa. Ma dal 2003, all’ombra della struttura universitaria si contano una decina di morti considerate sospette e una trentina di patologie tumorali. L’ultimo dei casi dei quali si ha notizia è quello di Giuseppina Pirracchiomorta nel dicembre 2013


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