La nostra isola - secondo il rilevamento annuale di fondazione impresa - e' al 'primo posto' per disagi creati agli imprenditori e a quei disgraziati che pensano di investire nella nostra isola. . .
Fare attività imprenditoriale in Sicilia? E’ difficile. Anzi, no: è quasi impossibile
LA NOSTRA ISOLA – SECONDO IL RILEVAMENTO ANNUALE DI FONDAZIONE IMPRESA – E’ AL ‘PRIMO POSTO’ PER DISAGI CREATI AGLI IMPRENDITORI E A QUEI DISGRAZIATI CHE PENSANO DI INVESTIRE NELLA NOSTRA ISOLA…
In Sicilia è praticamente impossibile fare impresa. Chi decide di investire nella nostra Isola – ma chi è questo matto? – si scontra con ostacoli insormontabili: una burocrazia ‘kafkiana’ che impone tempi lunghissimi per le tante autorizzazioni, tasse e imposte di tutti i tipi (la tassa sui rifiuti, per esempio, è la più alta d’Italia e, contemporaneamente, in molte aree dell’Isola, l’immondizia rimane per le strade non raccolta per intere settimane) e, perché no?, anche la stessa pubblica amministrazione che, con le proprie imprese (quasi tutte fallimentari), esercita una concorrenza sleale verso le vere imprese.
Infine – ma non ultima per importanza – c’è la mafia che vi chiede il ‘pizzo’. Il risultato è una sorta di desertificazione imprenditoriale. Che si è accentuata negli ultimi cinque anni.
Queste, grosso modo, sono le ragioni che rendono la vita difficile, se non impossibile, alle imprese siciliane. A certificare che la Sicilia non è terra di imprenditori è il rilevamento annuale di Fondazione impresa, che colloca la nostra Isola agli ultimi posti tra le Regioni italiane insieme con l’Umbria.
L’analisi di Fondazione impresa assegna da 0 a 100 i disagi presenti nelle Regioni italiane. Si tratta, a ben vedere, di una classifica al contrario: più punti di accumulano, maggiori sono i disagi che incontrano gli imprenditori e, di conseguenza, più difficile diventa la vita per le imprese.
Ebbene, in questa speciale ‘classifica’ dei disastri economici, neanche a dirlo, la Sicilia è al ‘primo posto’ con il 64,2 per cento di disagi per le imprese. Al secondo posto troviamo l’Umbria con il 63,5 per cento. Queste quotazioni sono ben al di là della media nazionale che è calcolata al 59,2 per cento.
Va da sé che la media è ottenuta con calcolo ponderale e non aritmetica: altrimenti sarebbe al 50 per cento.
A seguire si incontra un gruppo di sei Regioni, delle quali quattro tra Meridione ed Isole (Abruzzo, Campania, Puglia e Sardegna) e due del centro (Lazio e Toscana), che presentano un disagio ‘alto’, compreso tra il 57 e il 63 per cento. Attorno alla soglia media si collocano Puglia e Lombardia.
Sì, avete letto bene: anche in Lombardia – terra di imprenditori per antonomasia – le imprese cominciano a trovare difficoltà. Segno che a non funzionare è tutto il nostro Paese.
Un altro gruppo, compreso tra il 43,3 ed il 48,8, il cui disagio è definito ‘medio-basso’, comprende Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Veneto, Liguria e Piemonte.
Infine, le regioni più virtuose: sono la Valle d’Aosta con il 38,1 per cento e il Trentino Alto Adige con il 26,4. Questi ultimi indici di criticità sono definiti ‘molto bassi’.
Il servizio, reso da Daniele Nicolai di Fondazione Impresa, su Il Sole 24 Ore, non descrive i 12 indicatori che concorrono a formare la graduatoria. L’assenza di questi ci costringe ad assumerli a saccu r’ossa. Tradotto: così come sono i risultati della graduatoria, senza potere conoscere le cause che la determinano, secondo lo studio di Fondazione Impresa. Il che, dal punto di vista giornalistico, non è un bel vedere. E’ vero che dal testo se ne possono ricavare quattro o cinque, ma il dato non è sufficiente a valutare analiticamente le ragioni che concorrono a formare i disagi.
La Toscana peggiora le sue condizioni passando dal 12° al 17° posto, scalando cinque posizioni in negativo. Mentre l’Abruzzo le migliora di quattro.
Arretrano, o segnano il passo, l’Emilia Romagna (a causa della stretta creditizia), la Lombardia (per via dei numerosi fallimenti) e il Veneto (per la forte riduzione delle piccole imprese che non hanno retto alla crisi globale ed alla austerità europea”.
Si salva appena il Piemonte in forza delle sue imprese innovatrici.
La Sicilia precipita in vetta alle Regioni italiane con più disagi, per avere conseguito 9/12 degli indicatori della graduatoria. Noi siciliani – l’abbiamo scritto all’inizio di questo articolo – lo sappiamo, bene o male, perché è difficile fare impresa dalle nostre parti.
Alcune delle ragioni del successo della Sicilia sono indicate nel rapporto di Fondazione impresa e riguardano il calo del 6,48 per cento delle imprese attive. Di questo calo ne hanno fatto le spese le imprese artigiane, perché di imprese industriali in Sicilia non ce n’è nemmeno l’ombra, se si eccettua la presenza delle grandi imprese nazionali e multinazionali, pubbliche e private.
Il risultato concreto di questo fenomeno anti-imprenditoriale è che, tra il 2008 ed il 2013, la Sicilia ha perso l’11,6 per cento del Prodotto interno lordo. E’ proprio il caso di dire che il Governo di Raffaele Lombardo (a questo proposito, osservate la coincidenza temporale) ha svolto una grande opera di mallevadoria.
Guarda caso, il Governo Lombardo ha iniziato la collaborazione organica con Confindustria Sicilia, organizzazione imprenditoriale che, dal 2008 – cioè da quando il Pil siciliano ha iniziato la propria parabola discendente – gestisce l’assessorato alle Attività produttive.
La presenza di Confindustria Sicilia nel Governo della Regione prosegue con l’attuale esperienza di Rosario Crocetta. Superfluo aggiungere che, dal novembre del 2012 ad oggi – cioè da quando Crocetta è alla guida della Regione – l’economia siciliana è andata ancora indietro.
Questa coincidenza non viene sottolineata nella studio di Fondazione Impresa. Chissà perché…