Etna, Russo Morosoli e il primo cittadino di Nicolosi Il mutuo sparito e il riscatto della funivia archiviato

Angelo Pulvirenti diventa sindaco di Nicolosi il 14 giugno del 2017. Un mese dopo, i legali della società Funivia dell’Etna rinunciano formalmente a portare avanti un contenzioso, avviato tre anni prima, per risolvere un contratto di sponsorizzazione da 200mila euro stipulato con l’ente che fino a giugno aveva guidato il primo cittadino Nino Borzì. È una schiarita dopo una lunga stagione di battaglie legali tra il colosso imprenditoriale della famiglia Russo Morosoli e il Comune che sovrintende al versante sud dell’Etna. Lì dove c’è la stazione turistica di Rifugio Sapienza, lì dove prospera il business milionario dell’accesso al vulcano attraverso l’impianto a fune, le jeep della Funivia e l’indotto, il tutto alimentato da centinaia di migliaia di turisti l’anno. Per la procura di Catania, però, quella schiarita è il corrispettivo che Francesco Russo Morosoli, il patron della funivia ai domiciliari dallo scorso 30 novembre con accuse che vanno dalla turbativa d’asta all’estorsione, avrebbe assicurato al sindaco Pulvirenti, indagato, per atti contrari ai doveri d’ufficio

Sulle loro posizioni il tribunale del Riesame, dopo aver sentito accusa e difese, si pronuncerà a giorni. E nel frattempo, a Nicolosi, tenendo un profilo silente l’amministrazione ha provato ad allontanare le ombre che l’inchiesta Aetna ha proiettato sulla scalata di Pulvirenti, apertamente sostenuta in campagna elettorale da Russo Morosoli. La gip Giuliana Sammartino ha ritenuto insussistenti i gravi indizi di colpevolezza sulla presunta collusione fra i due, ma il sospetto che trasuda, dalla ricostruzione dei magistrati, è che il potente imprenditore etneo abbia cercato la sponda del sindaco per neutralizzare i possibili effetti dello scontro politico-legale che da anni infuriava in alta quota. 

Era stato Nino Borzì a lanciarsi in una offensiva che, nel 2016, trovò anche il cruciale assist dell’Autorità Antitrust. L’unica via d’accesso, da sud, ai crateri dell’Etna – era l’assunto dell’ex sindaco – non poteva restare il teatro di  quella gestione monopolistica dei trasporti turistici alle zone sommitali che il parere del garante avrebbe poi definito contraria ai principi della libera concorrenza. Il costo dei biglietti della funivia, circa 60 euro andata e ritorno, era il più evidente dei fronti di polemica aperti. Ma la lite verteva anche sui canoni concessori, irrisori secondo l’amministrazione, e sull’assenza di un piano finanziario condiviso che desse l’idea, ad esempio, dei numeri reali dello sbigliettamento. L’imprenditore oggi nella bufera giudiziaria rimarcava spesso l’ingente valore degli investimenti compiuti negli anni e annesse ricadute occupazionali su Nicolosi. Ma quell’equilibrio, sottolineava l’Antitrust, si era cristallizzato grazie a «procedure selettive assenti» quando non ispirate da «criteri restrittivi» che avrebbero agevolato la naturale posizione di forza del monopolista. 

Un imbuto che Borzì piccona per anni in vari modi. Prima di tutto aziona la procedura di riscatto della convenzione della concessione all’esercizio della funivia che il tribunale di Catania, in uno dei vari contenziosi, definisce un servizio pubblico. «Non pare condivisibile l’assunto di parte attrice (Funivia spa, ndr) della non sussistenza del servizio pubblico, avendo solo carattere commerciale il servizio di funivia. A parte la circostanza che trattasi dell’unica via di accesso fruibile per le zone sommitali (…) non può non rilevarsi come anche il legislatore riconosca carattere di pubblico servizio agli impianti di risalita». Ecco perché il Comune intendeva rientrare in possesso dell’impianto per rimetterlo a bando già prima del 2022, data di scadenza della convenzione firmata nel 2006. Dal 2017, tuttavia, del riscatto non c’è più traccia. A dicembre il consiglio di Nicolosi respinge un atto di indirizzo per l’accelerazione della revoca presentato dalla minoranza. 

Le intercettazioni della scorsa estate rivelano però che forse un’ipotesi sul tavolo c’era: una accordo con il Comune per la proroga della concessione. Russo Morosoli, al telefono, si mostra inquieto: vuole capire quale può essere la reazione dell’Antitrust. «Allora è chiaro che per me va bene e per il consiglio comunale va bene, cioè… È ovvio che per tutti va bene, il discorso è se va bene per l’Antitrust», dice al fidato Salvo Di Franco reduce da un confronto con un legale. Che il Comune di Nicolosi potesse allungare la concessione in cambio della chiusura dei contenziosi era una posizione «difendibile», secondo Morosoli: «Che un sindaco dica (…) qualora dovessero chiedere spiegazioni, senti Antitrust, a me che cazzo mi racconti, ho cause da milioni di euro (…) quello mi abbuona tutto se tolgo questa cosa, ma che cazzo mi interessa, dico».

Nel piano delle opere pubbliche comunale, Borzì intanto aveva inserito lo studio di fattibilità per acquisire anche i terreni sopra cui scorre la funivia. Operazione da 700mila euro, secondo la stima dell’ente, che avrebbe dato al Comune di Nicolosi la titolarità della strada sterrata che va da quota 1900 a 2500 metri. L’opera è ancora contemplata. 

C’è poi quel gran guazzabuglio dei terreni montani di proprietà di Russo Morosoli su cui, dopo l’eruzione del 2002, vennero ricostruiti una seggiovia e due sciovie del Comune, senza che però venissero mai completati i relativi espropri. L’ex sindaco Borzì avrebbe voluto fare un mutuo da 500mila euro per finanziare un’acquisizione sanante ed entrare finalmente in possesso di quel pezzo di Etna. La previsione sparisce però dal primo bilancio dell’era Pulvirenti. Perché 500mila euro non basterebbero, scrive il sindaco di Nicolosi rispondendo a un’interrogazione, ma anche perché «gli impianti sono in assoluto stato di abbandono e vandalizzazione e necessiterebbero di investimenti cospicui». Servirebbe invece «uno studio economico accuratissimo per addivenire alla risoluzione delle problematiche legate alla proprietà dei terreni». Il mutuo, intanto, può essere archiviato


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