Tra i nomi più noti dell'alpinismo italiano, fondatore prima di Mountain Wilderness e poi dell'Osservatorio per la libertà in montagna, in questa intervista a CTzen si sofferma sui limiti di fruizione imposti dagli amministratori locali, come nel caso del vulcano etneo. Illusori, secondo Gogna, e anche controproducenti, «perché, senza informazione e libertà, la sicurezza, anziché aumentare, diminuisce»
Etna, l’alpinista Alessandro Gogna sui divieti «Dannosi, serve la responsabilità personale»
In Italia come all’estero, il nome di Alessandro Gogna è legato alla montagna. Tra i più noti alpinisti italiani, genovese, classe 1946, Gogna è storico dell’alpinismo e, trent’anni fa, fu tra i primi a proporre una discussione sulla fruizione e la salvaguardia delle vette. Un ragionamento, il suo, basato su una parola d’ordine: responsabilità individuale. Concetto che si accompagna a quelli di sicurezza e libertà, ma in un percorso oggi sempre meno condiviso dalle pubbliche amministrazioni, soprattutto al sud. Come nel caso del vulcano Etna, da tempo ormai soggetto a divieti che la prefettura etnea aveva promesso di ridiscutere a settembre, mese che ormai si avvia alla conclusione.
L’Etna come lo Stromboli, le limitazioni alla fruizione delle montagne sono un caso tutto siciliano. Almeno nella sua concreta applicazione perché altrove, ad esempio sulle Alpi, ci si prova da tempo senza successo. E per questo Alessandro Gogna ha fondato l’Osservatorio per la libertà in montagna, un movimento d’opinione composto da una dozzina di esperti e appassionati con lo scopo di «sensibilizzare l’opinione pubblica all’importanza della responsabilità individuale come prima arma per preservare la propria incolumità», spiega.
Oltre la tecnologia e la burocrazia. Un percorso che inizia con la fondazione insieme ad alpinisti di tutto il mondo di Mountain Wilderness negli anni ’80. «Quando, come per tutte le questioni ambientali, si inizia a sviluppare una forte coscienza e il desiderio di associarsi per tutelare la natura», continua Gogna. «Allo stesso modo, circa cinque anni fa, abbiamo sentito il bisogno di difendere le attività di montagna a tutti i livelli, dalle escursioni all’alpinismo estremo, dalle aggressioni subdole di chi vuole mettere tutto in sicurezza».
Una «società sicuritaria» che, secondo l’esperto, commette almeno due errori: «Il primo è che di sicuro non c’è niente e dire “piena sicurezza” o “totale sicurezza” è una strategia di marketing pericolosa perché non è vero». Il secondo è che «affidando la propria responsabilità di singolo a strumenti e limiti decisi da altri, la sicurezza, anziché aumentare, diminuisce». Come quando, per tornare alla montagna, ci si lancia in azioni imprudenti perché «se sei un po’ cretino, pensi: “Tanto mi vengono a prendere”». Anziché informarsi e scegliere in libertà. Che è anche la libertà consapevole di non fare o non andare. «Gli amministratori, tralasciando eventuali interessi, non vogliono avere loro stessi responsabilità – spiega Gogna – Ma non possono limitare la libertà dei cittadini come fossimo nel Medioevo e demandare la responsabilità a un divieto».
Limiti che, tra l’altro, risultano troppo spesso settoriali. «Perché non c’è un divieto di balneazione, con tanto di sanzioni, quando a mare sventola la bandiera rossa? Ogni anno muoiono un sacco di persone, ma non se ne fa una tragedia come si fa per la montagna», si accalora l’alpinista. Che respinge anche l’ipotesi, come nel caso dell’Etna, di una fruizione obbligatoriamente mediata dai professionisti: «Certi divieti non valgono se si va con le guide alpine? Qui si rasenta il ridicolo», sostiene Gogna che è anche guida alpina, appunto. Un approccio che, in definitiva, mette a rischio la conoscenza della montagna, «una delle poche zone in cui si è ancora liberi di esprimersi – conclude – come non possiamo più fare nel resto della società».