Etna, dopo il festival di musica techno «Uno sfregio autorizzato, si chieda scusa»

Il week-end è finito, finalmente. Sull’Etna, zona Pernicana, è stato quasi un lungo week-end di paura, almeno per i turisti in fuga dai rifugi Ragabo e Brunek, e per gli animali selvatici violentati. Non sono stati imbecilli dell’ultim’ora a suonare a palla musica techno h24 da venerdì a domenica – si legga notte compresa, dove ogni decibel è stato accompagnato da potenti fasci di luce sparata sulle chiome dei pini del bosco, e dove i bassi si sentivano fino al paese di Linguaglossa. No, stavolta i responsabili di quest’offesa alla natura sono stati proprio i controllori: Comune di Linguaglossa e Parco dell’Etna, che hanno rilasciato autorizzazioni e nulla-osta, senza intervenire nemmeno durante, e nonostante le proteste per questo folle Etna Burning Festival prima edizione (già il titolo è una follia in un Parco Naturale: burning in inglese, in italiano a fuoco!).

Voglio spiegarmi. C’è il gruppo organizzativo di eventi musicali itineranti Tekinsicily23, che dopo aver ottenuto il visto dal Comune di Linguaglossa sulla scorta di una scheda tecnica da fumetto, si reca al Parco dell’Etna per ottenere il nulla-osta anche da questi. E il Parco glielo dà, senza nessuna prescrizione e dopo non aver fatto alcuna indagine sul curriculum dell’organizzatore. Perché se solo si fosse impiegato un quarto d’ora di tempo, scrivendo in rete Tekinsicily23 – qualunque pinco-palla come il sottoscritto può farlo –, si sarebbe venuti a conoscenza che esiste il profilo Facebook ricco di informazioni pubbliche molto interessanti. Ad esempio, che i signori in questione hanno preso parte al Catania Street Parade 2006 e, soprattutto, c’è un post in cui si promette il tipo di musica techno che verrà utilizzata al festival di Piano Pernicana, con la pubblicazione di un pezzo – tanto per esser chiari e non deludere le migliaia di appassionati in arrivo, anche con le navette, da Catania, Ragusa, Enna, Palermo.

Ora, lasciamo stare che siamo in zona B del Parco, lasciamo stare che l’area sia anche Sito d’Interesse Comunitario (Sic) e ci sarebbero voluti altri accertamenti d’incidenza a sostegno del nulla-osta, come hanno detto comandanti della Forestale. La domanda è semplice: come ha potuto un ente preposto alla tutela della natura autorizzare questo enorme sfregio nel cuore di uno dei boschi centenari più importanti dell’Etna? Se il Comune è stato leggero o strafottente (verrà accertato, perché c’è un’indagine), dal Parco ci si aspettava l’ombrello di garanzia per il rispetto dell’ambiente. Ci aspettavamo questo dai dirigenti che hanno firmato il nulla-osta di questa porcheria che sta all’area protetta come un bestemmione in chiesa durante la messa. Ci aspettavamo questo, noi che abbiamo sostenuto lo stesso Parco dell’Etna nella corsa alla candidatura Unesco, patrimonio dell’umanità. 

Ci aspettavamo questo dai suoi vertici, per rispetto anche verso i funzionari interni dello stesso ente, che hanno lavorato indefessamente per la medaglia dorata e avere l’attenzione del mondo intero per aggiungere valore al bene di tutti. Lo aspettavamo – per la miseria! – perché solo una settimana prima, di fronte ai poliziotti a cavallo, a un esponente del governo nazionale e a una moltitudine di bambini delle scuole etnee, di fronte agli inni suonati col sudore proprio da questi ragazzini, era stata celebrata la posizione della stele Unesco: per lasciare un ambiente naturale migliore a questi bambini – era stato detto, a parole, appunto. Ed erano stati rimessi in libertà alcune specie selvatiche – chissà se non stavano meglio in gabbia, dopo la violenza diurna e notturna subita dal Burning Festival.

Dov’è la coerenza, allora? Dov’è l’esempio, senza le parole abusate? I responsabili pagheranno secondo le norme di legge. Ma a chi ha creduto nelle persone e vuole ancora immaginare quest’Etna come luogo dell’anima, per vivere meglio, per emozionarsi nella bellezza naturale, occorre una sola cosa: che da uomini si ammetta l’errore, si chieda scusa e si ponga rimedio. Almeno.      


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