“Era un lunedì”, sette giorni per raccontare una vita

IL LIBRO/ LA FATICA LETTERARIA DI MARIA GRAZIA LALA

Una settimana per descrivere un’intera esistenza tra la vecchia Sicilia e Roma? Perché no. Ci prova Maria Grazia Lala con il suo racconto: “Era un lunedì” (Pungitopo editore, pp. 58, € 8,00). E’ la descrizione dei siciliani ‘in viaggio’ verso le mete che capitano nella vita.

La protagonista – Ninetta – racconta i momenti della sua vita, da ragazza semplice della vecchia Sicilia che, dopo il matrimonio, si ritrova a Roma. La narrazione si snoda negli anni della Seconda guerra mondiale, con ricordi amari e in parte pieni di contraddizioni. Ma in ogni caso autentici.

Così i pochi giorni della memoria si cristallizzano nelle descrizioni. Compaiono i familiari della protagonista, ma anche i semplici conoscenti, uomini e donne della Sicilia segnati da fatti particolari.

Tra ricordi e fantasie emergono i dettagli, che talvolta sono il segno di un mondo di tradizioni: messaggi di un tempo che scompare. Così, dalle piccole cose, apparentemente insignificanti, l’autrice prova a riannodare un percorso di piccoli segni: pretesti, talvolta, che descrivono una disarmante ingenuità. Come quando Ninetta, girovagando per Roma, sente proferire una frase in questa città da sempre in voga: “Ma va a morì ammazzato!”. E siccome il tono è giocoso e gioioso, come i romani che sono quasi sempre gioiosi e giocosi, si chiede: “Ma com’è che lo dicono come un augurio?”. E fa un raffronto con la sua Sicilia dove un uomo del suo paese era stato veramente ucciso nei campi, e i cinque figli, a distanza di anni, erano ancora vestiti di nero.

Riflette, Ninetta, anche sulla figlia dei suoi vicini di casa, chiamata “Libertà”, chiedendosi se fosse un nome “straniero o ridicolo”, alla luce del divieto stabilito dal regime fascista di imporre, per l’appunto, nomi stranieri…

Il racconto descrive gli anni in cui l’Italia di Mussolini sposa le leggi razziali tedesche. Co NInetta che si chiede: “Gli ebrei sono di un’altra razza? O Mussolini ci fa la guerra perché misero a Cristo in croce? Ci pensa ancora? Sai quanti cristiani mettono in croce altri cristiani, ebrei, turchi”.

Anche la guerra passa come qualcosa che ‘viaggia’ nei ricordi di bambina, due conpagni di giochi, Carmelino e Badassano con dei pezzi di legno passavano i pomeriggi “a rincorrersi e a darsi mazzate”.

Oltre a Ninetta e Tano c’è anche il parroco del paese, monsignore Ciaravella. Quel Monsignor Ciaravella del quale Ninetta ricordava una predica: “Se Dio vorrà nella Sua Provvidenza…”.

Nel racconto sfilano altri personaggi, altri fatti, altre storie. Come il medico che comunica a una manna che la figlioletta ha contratto la poliomielite e che l’unica cosa che lei possa fare è pregare. Per non parlare del villano che tutti in paese chiamavano “la bestia” perché pronunciava una frase da vecchia Sicilia: “Beniditta quella porta dove n’esce una figlia fimmina morta”: parole che ricordano una certa arretratezza di certo mondo contadino, che vedeva nelle figlie femmine braccia in meno per coltivare la terra e problemi per dote e matrimonio (in certi paesi della Sicilia, quando una ragazza di una famiglia contadina, dopo i vent’anni, non era ancora sposata, il capo famiglia usava dire: “Chista, rittu tra nuautri, m’arristau ‘ncapu la panza…”.

Storie di uomini e di donne. Storie che raccontano la vecchia Sicilia. Storie che si dipanano attorno alla storia d’amore dei due giovani, Ninetta e Tano. Un amore fatto di tenerezza: quella tenerezza tipica di due animi semplici. Un uomo e una donna diversi, Ninetta e Tano, tenuti insieme dell’idea di una famiglia unita.

Con Ninetta che si sente una donna fortunata perché, dopo sei anni di matrimonio, “guardava Tano e sentiva alla bocca dello stomaco un calore che le saliva alla gola… Non per tutte le fimmine era andata così”.

 


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