«Una storia che non si può chiudere con quell’archiviazione». La storia è quella di Enrico Lombardo, il 43enne morto su un marciapiede di Spadafora (in provincia di Messina) mentre era immobilizzato dai carabinieri la notte tra il 26 e il 27 ottobre del 2019. L’ultima archiviazione è arrivata all’inizio del mese di novembre dopo che il reclamo presentato dai familiari alle le due precedenti archiviazioni da parte del giudice per le indagini preliminari è stato ritenuto inammissibile dal tribunale monocratico di Messina dove gli atti erano tornati dopo l’accoglimento del ricorso da parte della Cassazione. Adesso l’ex moglie Alessandra Galeani e la figlia Erika hanno presentato, tramite l’avvocato Pietro Pollicino che le assiste, la revoca della sentenza di archiviazione. A finire indagati erano stati tre sanitari – una medica e due soccorritori – per omicidio colposo e un carabiniere per morte come conseguenza di altro delitto (violenza privata).
«È un primo passo per andare avanti – commenta a MeridioNews la donna che da quattro anni ormai porta avanti una battaglia per ricostruire quanto accaduto quella notte sotto il balcone di casa della ex compagna della vittima – L’attesa è devastante e non sappiamo quanto durerà ma speriamo che guardino con attenzione i documenti che abbiamo allegato di nuovo. Andiamo avanti perché non è giusto che chi dovrebbe tutelare la vita di Enrico, non lo ha fatto e anzi. Sarebbe stato più facile anche per me e per nostra figlia – continua la donna – credere al fatto che sia morto di infarto. Ma, in base agli elementi che abbiamo e che abbiamo fornito, siamo convinte che non sia così. Per questo, non ci fermeremo. Gli unici nostri obiettivi restano la verità e la giustizia. So a quel punto, ci daremo pace».
Un punto che sembra ancora lontano ma a cui potrebbe contribuire il documento presentato dal loro legale dopo che la giudice monocratica Monica Marino ha dichiarato l’inammissibilità del reclamo proposto dai familiari che chiedono, invece, che vengano approfonditi alcuni aspetti su cui sono rimasti dei dubbi. Un’inammissibilità che sarebbe dovuta a questioni di tecnicismi e di tempistiche. Si parla, infatti, di un ritardo nella presentazione della memoria della parte offesa. «La memoria depositata – ha messo nero su bianco l’avvocato Pollicino nel documento di revoca della sentenza – non è tardiva». In effetti, stando a quanto previsto dalla legge, anche se il termine ultimo per presentarla sarebbe stato quello di domenica 22 ottobre, la deadline sarebbe stata prorogata all’indomani proprio perché si sarebbe trattato di un giorno festivo.
Inoltre, «l’inammissibilità del reclamo – si legge ancora nel documento legale – è fondata sul presupposto che la censura al decreto di archiviazione del giudice per le indagini preliminari relativa alla mancata fissazione dell’udienza in camera di consiglio a seguito dell’opposizione alla richiesta di archiviazione sarebbe stata proposta “per la prima volta” nella memoria tardivamente depositata». Un «presupposto errato» per il legale perché, come evidenziato proprio in quella memoria del 23 ottobre, «la nullità del decreto di archiviazione per mancato perfezionamento del contraddittorio era già stata eccepita con la memoria difensiva trasmessa il 9 giugno alla V sezione penale della Corte di Cassazione». A cui i familiari si erano rivolti nel tentativo di fare luce su quello che è già stato definito «un nuovo caso Stefano Cucchi».
Quella sera, Enrico Lombardo si presenta sotto casa di quella che da poco è la sua ex compagna e madre di due dei suoi figli. Spaventata da un atteggiamento minaccioso dell’uomo, chiama i carabinieri. Lui va via ma poi torna e la ex chiama di nuovo le forze dell’ordine: «Sta ammazzando un carabiniere. Mandate qualcuno». A morire, alla fine, invece sarà lui. Una morte ripresa con un cellulare da un balcone. Il video inizia con una colluttazione tra la vittima e i militari. Poi le manovre di contenimento dei carabinieri che durano circa venti minuti. Nel verbale si legge che Lombardo si sarebbe ferito «battendo il capo contro una cabina telefonica». Un’ipotesi che non convince i familiari. Dall’autopsia emerge che non sarebbe deceduto per le ferite ma per un arresto cardio-circolatorio avvenuto «nella fase di recupero post-stress di una prova da sforzo cardio-vascolare (di resistenza al contenimento-immobilizzazione da parte di operatori delle forze dell’ordine)». Una morte, quindi, dovuta a diverse possibili concause che, alla fine, si riassumo con un malore.
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