Cronaca

Nuovo caso Cucchi in Sicilia? La Cassazione decide oggi sul «corpo torturato» di Enrico Lombardo

Un corpo e un volto martoriati da ferite ed ecchimosi, quello di Enrico Lombardo. Impiegato in un piccolo supermercato di Spadafora, è sul marciapiede della cittadina in provincia di Messina che il 43enne muore mentre è immobilizzato dai carabinieri la notte del 26 ottobre del 2019. Un caso che oggi arriva in Cassazione dopo l’opposizione dei familiari alle due archiviazioni da parte del giudice per le indagini preliminari per gli indagati: tre sanitari – una medica e due soccorritori – per omicidio colposo e un carabiniere per morte come conseguenza di altro delitto (violenza privata). «Siamo di fronte a un nuovo caso Stefano Cucchi (il geometra romano 31enne ucciso dai carabinieri nel 2009 mentre era sottoposto a custodia cautelare, ndr)», dice a MeridioNews la ex moglie di Lombardo, Alessandra Galeani, che oggi sarà in presidio davanti al Palazzo di giustizia di Roma insieme alla senatrice di Verdi-Sinistra italiana Ilaria Cucchi (la sorella di Stefano) e alle associazioni Amnesty International e A buon diritto. «Esporremo lo striscione – dice ancora la donna che da quattro anni porta avanti la battaglia anche a nome della figlia Erica – in cui a parlare basta il corpo senza vita di Enrico». Immagini di un cadavere pieno di lesioni e lividi alle braccia, al torace, alla schiena, alle gambe, ai piedi, al volto. «Non le vogliamo chiamare torture?», si chiede Ilaria Cucchi che è al fianco dei familiari di Lombardo – assistiti dall’avvocato Pietro Pollicino – nella richiesta di continuare a indagare sul caso.

Eppure, stando ai risultati dell’autopsia, il 43enne non sarebbe deceduto a causa delle ferite ma per un arresto cardio-circolatorio che, come si legge nel documento medico-legale, sarebbe avvenuto «nella fase di recupero post-stress di una prova da sforzo cardio-vascolare (di resistenza al contenimento-immobilizzazione da parte di operatori delle forze dell’ordine)». Per il consulente, a determinare il decesso sarebbero state diverse possibili concause tra cui «un’emorragia sub-aracnoidea per la rottura di uno dei rami collaterali-terminali dell’arteria cerebrale media in un soggetto in delirio agitato/eccitato affetto da miocardiopatia ipertrofica (un’ipertensione che non era mai stata diagnosticata in precedenza, ndr) e assuntore cronico di cocaina». Insomma, un malore. Una condizione che, volgarmente, viene chiamata di morte improvvisa. Una ricostruzione in cui, per i familiari e non solo, ci sarebbero molti punti che non tornano e altri che non sarebbero stati sufficientemente approfonditi nel corso delle indagini. «Gli elementi per potere andare avanti per fare luce su come è morto Enrico, ci sarebbero – sostiene la ex moglie – Per questo chiediamo con forza di continuare a indagare».

A partire dalle tracce ematiche trovate su un manganello utilizzato dai militari nel corso dell’intervento di quella notte. Una delle due macchie di sangue appartiene alla vittima, mentre l’altra è rimasta ancora catalogata come appartenente a Ignoto A. Quel che è certo, è che non è sangue del carabiniere che è stato indagato ma che non era l’unico a essere intervenuto quella sera sotto casa dell’ex compagna di Lombardo, dove vive anche il fratello di lei. Secondo quanto emerso nella ricostruzione dei fatti, l’uomo bussa alla porta della ex con un atteggiamento minaccioso. La donna – che è la madre dei due figli minori di Lombardo con cui da poco la relazione si è interrotta – chiama i carabinieri che intervengono provando a calmarlo. «Riferito stato di agitazione – riportano i sanitari dell’ambulanza – Paziente vigile e collaborante. Stato di nervosismo per problemi familiari». L’uomo si allontana ma, due ore dopo, torna. La donna chiama di nuovo le forze dell’ordine: «Sta ammazzando un carabiniere. Mandate qualcuno». A morire, alla fine, invece sarà lui. 

Una morte che viene ripresa da un balcone con un cellulare. Il video inizia con una colluttazione tra la vittima e i militari. Poi le manovre di contenimento di Lombardo da parte dei carabinieri che durano circa venti minuti. Un tempo lunghissimo durante il quale, mentre resta bloccato a terra da tre militari, l’uomo ripete soltanto una frase: «Non mi interessa, non mi interessa». Nel verbale redatto dai carabinieri su quanto avvenuto quella notte sul ciglio della strada a Spadafora si legge che c’era «il brigadiere claudicante, con una ferita alla gamba sinistra e graffi sulla parte destra della fronte, l’appuntato che sanguinava vistosamente dalla testa e dall’orecchio destro; Lombardo (ammanettato e a terrandr) con una ferita sanguinante al capo». Sempre nello stesso documento viene ricostruito che l’uomo si sarebbe ferito «battendo il capo contro una cabina della linea telefonica». Un’ipotesi che non convince il legale dei familiari, anche perché sulla cabina ci sarebbero schizzi di sangue e non macchie da contatto. «L’ex compagna, che ha assistito a tutta la scena – dice la ex moglie della vittima – ha riferito di avere sentito un carabiniere dire a Enrico che era già a terra “O ti stai fermo o ti do un colpo in testa“. Lo stesso militare che, poco dopo, rivolto ai colleghi avrebbe affermato: “Non potevo fare altro“».

Sull’asfalto restano, anche se non per molto, delle vistose tracce di sangue. Si vedono nel video girato quella notte ma «l’indomani erano già scomparse», denuncia al nostro giornale Galeani che qualche giorno dopo i fatti era tornata sul posto e di nascosto aveva registrato un residente che le aveva raccontato di avere visto i carabinieri che lavavano per terra. Sentito in sede di indagini, l’uomo però avrebbe smentito di essere stato un testimone diretto della scena e avrebbe dichiarato, invece, che gli era stata riportata da altri. «Nell’audio che ho registrato e consegnato in procura – afferma la donna – dice di avere assistito in modo diretto alla scena, anche se da lontano». Nelle fasi concitate della colluttazione, arriva anche il comandante della stazione dei carabinieri di Spadafora che è in borghese perché libero dal servizio. Lui è l’unico militare a essere stato indagato. «Devi restare immobile», dice più volte uno dei carabinieri rivolto a Lombardo che, dopo un lamento, resta immobile e muto. Anche quando gli operatori sanitari si avvicinano, i carabinieri restano su di lui. Inutili le manovre rianimatorie: l’uomo viene dichiarato morto alle 2.47. Oggi la quinta sezione della Cassazione deciderà se accettare di archiviare la morte di Enrico Lombardo come un malore. «Noi saremo là davanti – conclude la ex moglie – e speriamo di potere ancora credere nella giustizia dello Stato».

Marta Silvestre

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