Da assaltatore di banche a imprenditore capace non solo di controllare la propria impresa, ma anche di influire nelle sorti di quelle altrui. Sia che si trattasse di ditte amiche che di quelle concorrenti, costrette a sottostare alle regole imposte al settore. Nonostante la parabola ascendente ultradecennale quella di Emanuele Greco, meglio conosciuto come Elio, non può essere definita come esempio di self-made man. E non solo per il fatto che Vittoria sta dall’altra parte del mondo rispetto agli Stati Uniti, ma soprattutto perché l’ascesa del 58enne sarebbe legata a doppio filo alla contiguità con la criminalità organizzata. Tanto Cosa nostra, dalla parte dei gelesi Rinzivillo, quanto la Stidda, per il lato del clan Dominante-Carbonaro.
Questa è la ricostruzione fatta dal tribunale di Catania che nei giorni scorsi ha disposto il sequestro di beni riconducibili a Greco, per un valore complessivo di circa 35 milioni di euro. Nel 36 pagine di decreto, viene ripercorsa l’ascesa economica dell’imprenditore e dei suoi parenti più prossimi, una famiglia che tra il 1987 e il 1999 non ha dichiarato redditi e che con l’inizio del nuovo millennio ha visto crescere il proprio status. Un’impennata dovuta soprattutto all’ingresso nel settore degli imballaggi usati per confezionare i prodotti ortofrutticoli, in un territorio che ha nel mercato il principale motore economico.
Per ricostruire l’origine delle fortune di Greco, gli uomini del Gico della guardia di finanza di Catania hanno scandagliato nel passato dell’uomo, a partire dagli anni in cui non era ancora un imprenditore, bensì un volto spesso noto alle cronache giudiziarie in quanto componente di «un pericoloso gruppo armato dedito alla commissione di rapine presso banche, trasporto valori e gioiellerie». Fatti per cui Greco, all’epoca non ancora quarantenne, è stato condannato in via definitiva. A suo carico, tuttavia, nel corso degli anni ci sono stati sospetti riguardanti l’appartenenza alle cosche locali. Nel 1994 la Corte d’assise di Siracusa lo condanna a cinque anni nell’ambito di un processo ai Dominante-Carbonaro, uno dei clan legati alla Stidda. In secondo grado, però, l’accusa cade anche se nella sentenza si spiega che «Carmelo Dominante in sede di riorganizzazione dei ranghi – ricordano oggi i giudici della sezione misure di prevenzione – aveva manifestato l’intento di cooptare nuovi adepti di provata esperienza e riconosciuta capacità criminale quali appunto i fratelli Emanuele e Raffaele Greco». Una proposta a cui i due avrebbero fatto capire di volere accettare ma che, per la mancata scarcerazione delle persone reclutate in carcere, non si concretizzò.
Ma ad accostare Greco alle consorterie mafiose sono stati anche diversi collaboratori di giustizia. Parlano di lui Rosario Avila, Biagio Gravina e Giuseppe Doilo. L’uomo è accostato, come detto, non solo alla Stidda ma anche a Cosa nostra, in particolar modo al clan Rinzivillo – negli ultimi giorno colpito dal secondo filone dell’inchiesta Extra Fines a cui hanno lavorato le Dda di Roma e Caltanissetta – per il tramite del cognato Roberto Salerno, sulla cui fedina penale ci sono condanne per possesso di armi e traffico di stupefacenti. In tempi più recenti Greco è stato peraltro arrestato nell’inchiesta Ghost Trash, sul presunto controllo della mafia nel settore degli imbalaggi ortofrutticoli. Scarcerato in sede di Riesame, Greco dovrà rispondere dell’accusa di associazione mafiosa nel processo che si svolgerà con rito abbreviato a partire da aprile.
Arrestati nella stessa indagine sono stati Giombattista Puccio, conosciuto nell’ambiente criminale come Titta u ballerinu per essere stato in tempi diversi ritenuto legato a Cosa nostra e alla Stidda, e Giacomo e Michael Consalvo. Sono loro che, insieme a Greco, avrebbero costituito il cartello di imprese capace di gestire il mercato e sedando ogni forma di concorrenza. «Io in passato ho sbagliato con te, ho sbagliato con Greco, ma è arrivato il momento che noi la smettiamo di litigare perché siamo arrivati con le spalle al muro, in quanto c’è troppa concorrenza e stiamo perdendo troppi soldi», dice Puccio a Consalvo, senza sapere di essere intercettato.
L’impresa con cui Greco è protagonista nel mondo degli imballaggi è la Vittoria Pack. Nata a metà anni Ottanta come ditta individuale per realizzare cassette in legno per poi virare nel ’99 sul cartone sotto forma di società a responsabilità limitata, l’impresa di contrada Boscopiano è tra quelle per cui è stato ordinato il sequestro. Ad amministrarla ufficialmente sarebbe la moglie Concetta Salerno, mentre i figli risultano soci. Tuttavia per gli inquirenti si tratterebbe soltanto di formalismi, per celare la regia diretta di Greco definito un soggetto dalla «forte vocazione imprenditoriale motivata dalla necessità di riciclare denaro proveniente soprattutto da attività illecite». A ricevere i sigilli sono state anche altre società, molte delle quali intestate a figure ritenute dei prestanomi. Tra loro anche una ditta che nel giro di un anno cambiò il proprio business dai saloni da barbiere alla fabbricazione di tubi in plastica.
Tutti pezzi del puzzle economico messo su da Greco. Un dinamismo che in alcuni frangenti stupisce anche gli inquirenti che si sentono raccontare da un collaboratore di giustizia di come l’uomo abbia in passato agevolato l’apertura di imprese che sulla carta gli avrebbero potuto fare concorrenza. «Ma in che senso lei dice che aiuta? Cioè Greco ha uno spessore criminale che può aiutare o aiuta finanziariamente?», chiede il pm. La risposta è bipartisan: «Finanziariamente, ma ha anche lo spessore criminale».
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