Edoardo II: un re vittima delle proprie passioni

Autore: Christopher Marlowe
Traduzione: Letizia Russo
Adattamento e regia: Antonio Latella
Costumi: Annelisa Zaccheria
Luci: Giorgio Cervesi Ripa
Suono: Franco Visioli

 

Con: Danilo Nigrelli, Giuseppe Lanino, Marco Foschi, Rosario Tedesco, Cinzia Spanò.

Produzione: Teatro Stabile dell’Umbria

Approda al teatro Ambasciatori di Catania la tragica vicenda di “Edoardo II”, scritta dal grande drammaturgo e poeta elisabettiano Christopher Marlowe.

Il dramma, offerto al pubblico nella sua nuova veste, attraverso gli occhi del regista Antonio Latella, racconta la storia crudele e angosciosa di Edoardo II, un re inglese del Trecento.

Edoardo è vittima di una forte e incontrollata passione d’amore nei confronti di Gaveston, un uomo di bassa estrazione sociale, che lo ricambia pienamente. Il legame tra i due mette in allarme Isabella, moglie del re, e la nobiltà.

L’unica colpa di Edoardo è quella di amare: egli si lascia vincere dalle proprie passioni. Ma ciò che realmente preoccupa la corte è il mantenimento del potere.

Gaveston viene ucciso ed Edoardo deve convivere con la nuova e triste realtà: lo stesso intenso sentimento che prima lo vedeva protagonista di un amore delicato e vivo, adesso lo vede logorato da un intramontabile dolore.

La tragedia si conclude con la lunga e dolorosa morte del re: Edoardo viene rinchiuso e tormentato fisicamente e mentalmente e poi ucciso dai sicari di Mortimer. Quest’ultimo, spirito malvagio e distruttivo, nemico del re, è la figura aristocratica di spicco che durante l’intera vicenda ha un unico e rigoroso obiettivo: usurpare il trono. Soltanto la vendetta finale di Edoardo III restituisce al padre morto un po’ di giustizia.

I dieci personaggi della storia si muovono sul palco in maniera veloce e irrequieta, come fossero delle belve, urlando e adottando un linguaggio forte e crudo che sembra voler abbattere le regole della censura di quell’epoca.

L’ambientazione è tetra e ombrosa, resa tale dalla scelta del nero come colore unico e dominante.

I personaggi sembrano unificati dal costume, un abito scuro che somiglia molto ad una veste ecclesiastica. Il sottofondo musicale contribuisce con coerenza all’esaltazione dell’alone cupo e pesante che avvolge l’intero spettacolo: una musica lugubre, quasi stancante, ci rende partecipi del vortice in cui i personaggi stanno man mano precipitando. Il rischio però è che anche l’attenzione del pubblico precipiti. Abbiamo infatti di fronte uno spettacolo di circa due ore, in cui la ridondanza di elementi mette subito in crisi lo spettatore meno paziente.

La recitazione si alterna tra scena e proscenio, favorita dagli ottimi giochi di luce, ed è forse l’unico elemento che riesce a tener viva l’attenzione. Di considerevole bravura Marco Foschi, nel ruolo di Gaveston, e ancor più Danilo Nigrelli, nel ruolo del protagonista. L’interpretazione di quest’ultimo è forse l’unico punto di merito di un prodotto teatrale che rischia di deludere, perché troppo ridondante e monotono. Notevolmente interessante la scelta di mostrare alcune scene con “luce accesa” sul pubblico, così da farlo sentire parte sostanziale della tragedia.

Lo spettacolo ha senz’altro un forte impatto visivo, soprattutto per via del “nudo”, esibito con disinvoltura e senza malizia.

Vittima di una superflua abbondanza di dati, la rappresentazione finisce per annoiare, in un contesto storico che ha bisogno di qualcosa “in più” per riuscire a catturare l’attenzione.

” Forse il secondo delitto più atroce è la noia. Il primo è essere noiosi”, diceva un certo Cecil Beaton.


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