È dedicato all'illegalità nel settore dell'edilizia uno dei capitoli dell'annuale dossier dell'associazione Legambiente. Non più solo abusivismo - che sull'isola sfiora le 800mila richieste di sanatoria - ma sopratutto grandi opere realizzate con l'intervento dei Comuni e un numero crescente di imprenditori prestanome e conniventi. Nel Catanese, protagonista è Palagonia. Mentre a Trapani, continuano gli affari del superlatitante Matteo Messina Denaro
Ecomafia, il ciclo del cemento in Sicilia Tra varianti e deroghe ai piani regolatori
«Un mercato fortemente deregolamentato, un tessuto imprenditoriale eccessivamente frammentato, debole, non capitalizzato, caratterizzato da sistemi di controllo inefficienti». È netto il giudizio dell’istituto di ricerca Transcrime sull’edilizia in Italia. Citato nell’ultimo dossier di Legambiente sulle Ecomafie, il parere spiega come il settore sia ancora oggi uno dei più redditizi per la criminalità organizzata e a più alto rischio di infiltrazione. Lo sa bene Cosa Nostra, che ha posto su questo mercato il 40 per cento delle sue aziende, investendo in questo momento di crisi e di prezzi al ribasso nella costruzione e nel consolidamento di immobili, utili per sé come basi operative, ma anche indirettamente per riciclare i proventi delle attività illecite. In una rete che trattiene sempre più tra le sue maglie imprenditori e funzionari pubblici conniventi.
A Catania quarta nella classifica regionale di Legambiente, 24esima in quella nazionale il fenomeno sembra essere in diminuzione. Ma si aspetta ancora la fine del corposo processo Iblis che alle costruzioni di centri commerciali e in seguito ad appalti pubblici dedica gran parte dei suoi faldoni. Nel Catanese, nella prima metà dell’anno, il caso più rilevante ha avuto per protagonista Palagonia. Dove a febbraio la Direzione investigativa antimafia etnea ha sequestrato beni per circa sette milioni di euro a Giuseppe Faro. L’imprenditore palagonese vantava partecipazioni in dieci società di edilizia e movimento terra – siciliane e non solo – più due cave a Palagonia e Licodia Eubea. Già conosciuto dalle forze dell’ordine per vari precedenti penali rapine ed estorsioni – Faro sarebbe secondo i magistrati vicino al clan calatino La Rocca, affiliato alla famiglia catanese dei Santapaola.
Un fenomeno ancora più preoccupante quando al centro dell’illegalità si trovano strutture di pubblica utilità. Come l’ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento, inaugurato nel 2004 a distanza di vent’anni dalla posa della prima pietra, per un totale di 38 milioni di euro. Una cifra spropositata considerato il risparmio nelle materie prime: cemento depotenziato, secondo la procura di Agrigento, che nel 2009 ha sequestrato la struttura. Nell’idea dei magistrati, sarebbe stato urgente trasferire altrove i pazienti, molti dei quali bloccati a letto sotto tetti che forse non avrebbero retto a lungo. Ma, grazie all’intervento dell’allora capo della protezione civile Guido Bertolaso, l’evacuazione viene evitata e la questione si chiude con un intervento di consolidamento dell’ospedale. Al quale segue il dissequestro. Nel 2012 la vicenda si sposta nelle aule del tribunale, con otto imputati tra imprenditori e tecnici ancora in attesa di giudizio. Secondo le perizie, un terremoto superiore ai 4,5 gradi della scala Richter provocherebbe il crollo di alcuni edifici dell’ospedale.
Ma gli occhi degli investigatori sono puntati soprattutto su Trapani e il suo imperatore della mafia: Matteo Messina Denaro, latitante dal 1993 eppure, secondo i magistrati, interessato ai lavori per le regate dello scorso maggio. Operazioni di consolidamento del porto trapanese per circa 30 milioni di euro. Il sequestro che potrebbe trasformarsi in confisca è avvenuto nei confronti di due presunti prestanome: imprenditori siciliani ma con società romane, con una lunga collaborazione cominciata con il capomafia Vincenzo Virga e tramandata al reggente Francesco Pace. I lavori sono stati realizzati tramite le deroghe previste dal sistema dei Grandi eventi della Protezione civile.
Ed è proprio questo sistema fatto di varianti e deroghe la nuova maglia che favorirebbe l’infiltrazione di Cosa Nostra. «Allabuso edilizio come violazione diretta ed esplicita delle norme si è sostituito labuso del diritto», commenta Legambiente nel dossier. I dati dellassessorato regionale al Territorio – 770mila istanze di sanatoria, di cui 52mila per strutture sulla costa, «un abuso ogni sei abitanti. Trenta abusi ogni chilometro quadrato» – restituiscono solo in parte la grandezza del fenomeno, per lo più sommerso. E spesso reso legale dalle stesse amministrazioni comunali, tramite nuove volumetrie non previste dai Piani regolatori generali, terreni agricoli che diventano edificabili o, con una responsabilità passiva, trascurando controlli e linee guida stringenti. Un argomento che nelle scorse settimane è stato anche al centro della campagna elettorale catanese, dopo la decisione dell’ex sindaco Raffaele Stancanelli di stralciare dal piano regolatore generale le più grandi opere cittadine in programma – corso dei Martiri, Pua e ospedale San Marco -regolamentate con distinte varianti.