Uno studio del professore Cannavò dell'unità operativa complessa di Endocrinologia del Policlinico di Messina dimostra come l'insorgenza dell'acromegalia - una malattia rara - nell'area della Raffineria e di Valle del Mela sia connesso alla esposizioni a sostanze come i bifenili, il benzene e gli ftalati
Eccesso di ormone della crescita nell’area di Milazzo Legami con la presenza di inquinanti ambientali
Acromegalia: una malattia da eccesso di ormone della crescita in cui residenti nel bacino di Milazzo e Valle del Mela rischierebbero di incorrere con un incidenza doppia rispetto al resto della provincia di Messina. A dirlo è uno studio epidemiologico condotto dal professore Salvo Cannavò, responsabile vicario dell’unità operativa complessa di Endocrinologia del Policlinico e altri endocrinologi dell’Università di Messina, in collaborazione con l’Asp e con l’Arpa, e pubblicato nel 2010 sull’European Journal of Endocrinology. Cannavò ha dimostrato che la prevalenza di acromegalia nella provincia di Messina era simile a quella di altre nazioni europee, ma il rischio di sviluppare la malattia risultava più che doppio nel bacino Milazzo e Valle del Mela, identificato dal ministero dell’Ambiente come area a rischio per la salute.
L’acromegalia è una malattia rara causata dalla eccessiva secrezione di ormone della crescita. In genere insorge in età adulta e causa problemi scheletrici e articolari, metabolici, cardiovascolari, respiratori, neurologici e neoplastici. Se ci si ammala in età pediatrica comporta anche il raggiungimento di una statura esageratamente elevata (gigantismo).
A provocare l’acromegalia sono anche i tumori dell’ipofisi. Per questo, nell’area di Milazzo, è stato portato avanti, negli ultimi anni, un progetto di ricerca finanziato dal ministero dell’Istruzione, nell’ambito del programma di ricerca di interesse nazionale 2010-2011. L’obiettivo delle studio è stato quello di spiegare se esiste veramente un rapporto fra esposizione a inquinanti ambientali, primi fra tutti gli idrocarburi, e lo sviluppo della malattia. Si è cercato anche di capire cosa potrebbe giustificare l’aumentata prevalenza di acromegalia in quella zona della provincia di Messina e perché, in aree a rischio ambientale, la frequenza di forme più aggressive di acromegalia sembra essere maggiore rispetto a zone non inquinate.
I risultati di questa ricerca sono stati presentati all’Università di Messina. «Abbiamo cercato di spiegare perché solo alcune persone fra le tante che sono esposte agli inquinanti ambientali si ammalano», commenta l’esperto. Cannavò, insieme al professore Francesco Trimarchi, ha coordinato la ricerca condotta negli ultimi tre anni da una task force di studiosi. Lo studio ha coinvolto le unità di Endocrinologia delle Università di Torino, Padova, Ferrara e Pisa, l’unità di Neurochirurgia dell’Università Vita e Salute dell’Istituto San Raffaele di Milano e il laboratorio di Neuroscienze del Cnr di Roma.
«Il progetto aveva lo scopo di verificare se specifici inquinanti ambientali possono modificare il comportamento di cellule sane o tumorali dell’ipofisi, se esistono caratteristiche genetiche che aumentano il rischio di sviluppare tumori dell’ipofisi in specifici contesti ambientali – spiega Cannavò – e se la risposta ad alcuni farmaci può essere influenzata anche dalla esposizione a sostanze inquinanti».
«A prescindere dal territorio di riferimento della ricerca, i risultati hanno messo in luce il ruolo di alcuni inquinanti ambientali, assai diffusi, sulla proliferazione cellulare dei tumori ipofisari, sulla secrezione ormonale e sulla risposta ai farmaci – sottolinea l’endocrinologo – e hanno provato che le caratteristiche genetiche individuali influenzano gli effetti degli inquinanti ambientali». Tra gli inquinanti che incidono maggiormente ci sono i bifenili, il benzene e gli ftalati.