«Si è fatto fottere a locco». Chissà se sarebbe d’accordo con questa osservazione di Masino Inzerillo, ritenuto il boss di Passo di Rigano, anche FrankyBoy, ucciso da sei colpi di pistola davanti alla porta di casa a Staten Island, New York. Sono da poco passate le 21 del 14 marzo scorso quando viene freddato e, caduto a terra stramazzante, investito da un camioncino blu. Muore poco dopo, in ospedale. Una morte, quella di Francesco Frank Calì, che getta immediatamente nello sconforto l’intera famiglia Inzerillo, che cerca da Palermo di mettere insieme i tasselli di quell’omicidio. Per rispondere, fra le tante, a una domanda che gli sta particolarmente stretta: è stata la mafia? Calì infatti sarebbe legato a doppio filo alla famiglia mafiosa trapiantata negli Usa dei Gambino. La moglie non è altro che la nipote del boss italoamericano Giovanni John Gambino. Gli stessi Gambino rimasti coinvolti, insieme agli Inzerillo, nell’ultimo blitz della Dda che ha fermato la ricostituzione del mandamento di Passo di Rigano.
«Una storia strana», riferisce in videochiamata dall’America Santo Salvatore Spatola al fratello Giuseppe, fermato nel blitz e ritenuto soldato di don Masino, uno dall’«atteggiamento quasi servile» nei confronti del presunto boss finito in galera. Strana perché, malgrado i timori e le modalità portino a pensare che si sia trattata di un’esecuzione mafiosa, i dubbi che possano esserci motivi di natura ben diversa dietro quell’omicidio affiorano subito. «Non è che l’hanno voluto ammazzare», convenivano i due Spatola. Fino a che affiorava un’inedita ricostruzione di quel giorno. Secondo la quale l’omicidio sarebbe stata l’estrema conseguenza del gesto di un folle che, mosso dalla gelosia verso una ragazza che si era recata a casa di Calì e della moglie Rosaria Maria Inzerillo per cercare protezione, aveva successivamente atteso l’arrivo del padrone di casa appostandosi davanti alla sua auto. «Un mongoloide! Una cosa inutile… Un secchio di immondizia! Pazzo! Si è lasciato con la fidanzata? E lei se n’è dovuta andare da Franky tipo… Chissà che aveva e se n’è dovuta andare da Rosanna, che ha chiamato suo marito, lo ha fatto ritornare. E il fidanzato c’è andato là! Che pensi che non lo prendono? Sì, le telecamere dovunque ci sono in America, al volo lo prendono!».
Ma sono solo delle voci, che non riescono a placare del tutto il nervosismo di don Masino per il clamore suscitato da quell’omicidio. Teme ripercussioni mediatiche su quella cosca che tanto faticosamente starebbe cercando di rimettere in piedi. «Se è vero questa cosa che dicono, che c’è andata la zita dentro, lo devono dire, Rosanna, loro, lo devono sapere chi è…Noialtri nel mezzo, ora un macello succede…», dice Tommaso Inzerillo intercettato. Urge subito una riunione con alcuni sodali per discutere del delitto e delle possibili ripercussioni sul mandamento palermitano. FrankyBoy non è morto nemmeno da 24 ore, quando in via Mogadiscio si riuniscono a un tavolo Salvatore Inzerillo, Pietro Ciulla, Alessandro Mannino, Giuseppe Spatola, Santo Cipriano e don Masino. Tutti appaiono stupiti per quella morte, non si capacitano di come l’assassino abbia potuto sorprendere Calì, sempre diffidente e accorto nel relazionarsi con gli altri. «Eh, stava molto attento, però lo vedi come… Lo stesso vengono da me, vengono a suonare, che fa non ci affaccio?».
Nella snervante attesa che arrivino notizie più certe dall’America e, in particolare, dalla vedova del boss ucciso, Tommaso Inzerillo progetta una contromossa. Fare partire una persona fidata alla volta degli Stati Uniti con il preciso compito di raccogliere informazioni dettagliate su quell’omicidio per capire una volta per tutte se fosse maturato negli ambienti della criminalità organizzata o se invece si fosse trattato di un fatto sentimentale. «Noi questo dubbio ce lo dobbiamo levare, il più presto possibile… Mica possiamo stare con questi», sospira don Masino. Non fa in tempo a organizzare tutto, che la risposta arriva dritta dritta dalla polizia di New York, che tre giorni dopo arresta il 24enne Anthony Comello, un giovane di famiglia benestante dal profilo instabile e con nessun legame negli ambienti mafiosi. Pochi giorni dopo, il funerale del boss: «Rosuccia mi ha detto… era pieno pieno di sbirri… eh … ognuno che entrava al cimitero, volevano il documento».
Ma intanto la soluzione raggiunta dalle autorità americane sembrerebbe la risoluzione più plausibile del caso. I parenti che vivono oltreoceano, infatti, spazzano definitivamente via le paure degli Inzerillo, che spiegano come l’omicidio sarebbe scaturito dal parere contrario di Frank Calì sulla relazione tra il 24enne e la nipote, figlia del fratello di FrankyBoy. Il giovane, sembra, non ne voleva sapere di rispettare questo divieto, non riuscendo a darsi pace: «Un pazzo completamente – commentano gli Inzerillo, in contatto coi parenti americani -, dice che nella mano ha scritto “dobbiamo pulire l’America”, “sono con il presidente…voglio pulire l’America”, era un terrorista sicuro». La famiglia può finalmente tirare un sospiro di sollievo: Cosa nostra non c’entra proprio niente. Altro che guerre di mafia e sanguinose perdite in stile anni ’80. «Cose successe quarant’anni fa, ora sono finite». Superato lo spavento, però, resta una strana incredulità di fondo per quanto successo, specie per la negligenza dimostrata da Calì nell’affrontare il suo killer, senza prendere alcuna necessaria cautela, dato che in fondo poteva anche trattarsi di un qualunque padrino in cerca di vendetta, «lui si doveva quartiare».
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