Totò Riina, il Capo dei capi originario di Corleone, è morto alle 3.37 nel reparto detenuti dell’ospedale di Parma. Ieri aveva compiuto 87 anni. Operato due volte nelle scorse settimane, dopo l’ultimo intervento era entrato in coma. ‘U curtu, nonostante la detenzione al regime del carcere duro da 24 anni, era ancora considerato il vertice assoluto della cupola di Cosa nostra.
Dopo la prima operazione i medici ritenevano improbabile che sopravvivesse, considerate le condizioni di salute già precarie. Ma Riina ce l’aveva fatta, salvo peggiorare dopo qualche giorno. Si arriva così al secondo passaggio sotto i ferri a cui è seguita una grave setticemia. Sottoposto a coma farmacologico dai sanitari dell’ospedale Maggiore di Parma, il boss corleonese non si è mai svegliato. Con un quadro clinico ormai compromesso era arrivato anche il provvedimento del ministro della Giustizia Andrea Orlando, con il quale si autorizzava la visita della moglie del boss, Ninetta Bagarella, delle due figlie e del figlio Giuseppe Salvatore. I familiari del boss però non sono riusciti a incontrarlo prima che morisse nonostante il permesso straordinario. Il più grande dei maschi della famiglia, Giovanni, è condannato all’ergastolo per quattro omicidi e attualmente si trova detenuto al regime del carcere duro. Tre anni fa il figlio Salvatore raccontò in un libro, che suscitò moltissime polemiche, la sua vita da figlio del capomafia stragista. «Per me tu non sei Totò Riina, sei il mio papà. E in questo giorno per me triste, ma importante, ti auguro buon compleanno. Ti voglio bene, tuo Salvo», ha scritto ieri sulla pagina Facebook.
A luglio scorso il tribunale di sorveglianza di Bologna aveva rigettato la richiesta di differimento della pena per il capomafia. Riina pertanto è rimasto nel reparto detenuti dell’ospedale di Parma in regime di 41 bis. La decisione ha fatto seguito al provvedimento con cui la Cassazione aveva chiesto ai giudici di motivare meglio la compatibilità con il regime carcerario del boss malato. Nonostante le condizioni di salute era curato con «estrema attenzione e rispetto della sua volontà, al pari di qualsiasi altra persona che versi in analoghe condizioni fisiche», hanno scritto i magistrati. Ribadendo, inoltre, che Riina era «vigile» e «lucido» e per niente redento.
Fino a qualche mese fa, parlando con la moglie in carcere, il boss stragista rivendicava il suo ruolo in seno all’organizzazione e ripeteva che mai si sarebbe pentito. Ventisei condanne all’ergastolo per centinaia di omicidi e stragi, Riina, mente della guerra allo Stao degli anni ’90, compresi gli attentati di Capaci e via d’Amelio, è rimasto punto di riferimento per gli uomini d’onore.
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