È l’Italia che va…

“Le cose stanno più o meno così”.
Bertrand  Russell staccava questa frase all’inizio delle sue conferenze. Noi, mutuando di Russell forse solo l’ironia, ché il resto non possiamo, proviamo a capire come “stanno  le cose”, adesso, in Italia, con l’aiuto del professore Schininà, docente di Storia contemporanea della Facoltà di Lingue a Ragusa.
 
 
Partiamo, come giusto e d’obbligo, dall’inizio: la legge elettorale. Un fine dicitore ed umorista (n.d.A.), il dentista Calderoli, l’ha definita una “porcata”. Riusciamo a dargli per una volta ragione?

Credo che la legge elettorale frettolosamente e ostinatamente varata dalla vecchia maggioranza sia stata un pasticcio sia nel contenuto che nel metodo. A mio avviso, non è nemmeno corretto definirla legge proporzionale, visto che esiste un premio di maggioranza che garantisce in ogni caso una cifra fissa di seggi alla coalizione vincente. La rappresentatività democratica e il principio di governabilità sono stati inoltre ulteriormente snaturati e sminuiti dalla disomogeneità nel sistema di elezione tra Camera e Senato e soprattutto dalla scomparsa del voto di preferenza. In merito al primo aspetto non si può non avere l’impressione che l’intero impianto sia stato congegnato per rendere più complicata la formazione di una maggioranza di governo stabile e coesa in entrambe le camere. Nel secondo caso l’obbligo per i cittadini di votare liste preconfezionate senza poter esprimere liberamente una preferenza personale, se da un lato permette di superare degenerazioni del passato, richiama tuttavia modalità di voto plebiscitarie, da noi realizzatesi in condizioni diverse durante il ventennio fascista. Il rischio è quello di ridurre la decisione dell’elettorato ad un consenso incondizionato verso scelte prese esclusivamente dai vertici dei partiti o di affidarsi alle doti taumaturgiche del capo della coalizione. Ma per non rimanere ai limiti tecnici di questa legge elettorale che paradossalmente sembra unire gli inconvenienti del proporzionale e del maggioritario, credo che il difetto principale sia stato il metodo d’approvazione. Non è infatti condivisibile che la legge che presiede al modo con cui i cittadini sono chiamati ad eleggere il Parlamento, ossia le regole del gioco democratico, sia votata soltanto dalla maggioranza senza il consenso dell’opposizione, qualunque essa sia, o di una parte consistente di essa.

Il voto degli Italiani all’estero ha bloccato la rimonta della Destra  (che proprio negli Usa ha presentato sei liste contro una sola dell’Ulivo). Come ci vedono i nostri connazionali dall’estero, e come mai questa loro scelta?

Indubbiamente il voto degli italiani all’estero è stato determinante per il conseguimento della maggioranza di seggi al Senato da parte del centro-sinistra e in particolare quello riscontrato nella circoscrizione europea (che contava circa la metà dei voti validi complessivi all’estero) dove l’Unione e i suoi alleati hanno ottenuto il 59% rispetto al 37% della Casa della Libertà, con punte del 62 e del 69% in paesi come la Svizzera e il Belgio. La maggioranza dei votanti nella circoscrizione America settentrionale e centrale ha scelto il centro-destra (58%), mentre in Sud America l’elettorato ha assegnato un terzo dei voti ad entrambi i poli e all’indipendente Associazione degli Italiani in Sud America che, com’è noto, ha eletto un suo rappresentante in Senato. Nel complesso del voto all’estero sia alla Camera che al Senato il centro-sinistra ha ottenuto circa il 48% a fronte del 38% del polo e del 15% delle liste indipendenti. Ciò significa che, comprendendo i voti degli italiani all’estero e quelli della Valle d’Aosta (non computati nel calcolo del premio di maggioranza), il totale del numero dei voti di Unione e alleati alla Camera è superiore di circa 130.000 suffragi rispetto ai partiti di centro-destra (che però rimangono prevalenti al Senato rispetto a quelli di centro-sinistra). Tra i motivi del successo del centro-sinistra presso gli italiani all’estero, come lei stesso ricorda, vi è sicuramente la scelta di presentare una lista unica intitolata all’Unione, a fronte della frammentazione dei partiti del centro-destra. Vi è poi probabilmente una capacità maggiore di radicamento e di mobilitazione tra i lavoratori, favorita dalla presenza anche tradizionale di associazioni sindacali che si sono prese cura dei loro diritti e interessi nel mondo del lavoro straniero. E’ comunque difficile rispondere alla domanda su come ci vedono questi milioni di connazionali, anche perché si tratta di una comunità fortemente variegata per data di emigrazione, tipologia lavorativa e di soggiorno, legami con il paese d’origine o quello di residenza. Insomma, credo che in Italia si conosca ancora troppo poco di loro e viceversa.

L’Italia  ha scelto di cambiare. Se in meglio o in peggio non possiamo ancora dirlo, oltretutto lo scarto è veramente minimo per  considerare tutto ciò un’effettiva voglia di cambiamento. Cosa allora è stato decisivo?

Se interpreto bene la domanda, mi si chiede un parere sul risultato elettorale che ha prodotto una maggioranza assai risicata nel voto (ma consistente alla Camera grazie alla legge elettorale). Potrei rispondere che non è la prima volta che ciò si verifica, si è a ragione richiamato in proposito la prima elezione dell’attuale presidente della repubblica statunitense, ottenuta grazie al contestato scrutinio di poche centinaia di voti in Florida (e il vincitore ha poi governato nel pieno rispetto del principio di maggioranza prendendo decisioni importanti come la guerra), ma situazioni simili si sono avute di recente in Germania o in altri paesi europei. E’ nella logica della democrazia che si possano verificare casi di quasi parità di due schieramenti contrapposti e anche con uno scarto minimo la parte vittoriosa è legittimata a governare, una volta che si sia ufficializzata la regolarità dell’intero procedimento elettorale, a meno che non si voglia introdurre una legge che preveda l’annullamento del voto se si verifica una distanza ridottissima tra due coalizioni. Dopotutto il sistema politico italiano, negli ultimi dieci anni, ha registrato spostamenti di consensi dall’uno all’altro schieramento abbastanza limitati, se si eccettua la forte crescita di Forza Italia nel 2001, con l’oscillazione di una fetta relativamente ridotta di elettorato sulla cui conquista si gioca gran parte della lotta elettorale. Semmai queste ultime elezioni hanno registrato una novità nella capacità di entrambi gli schieramenti, soprattutto a causa della legge elettorale, nel ridurre al minimo il consenso delle forze politiche posizionate al di fuori dei due schieramenti (poco meno dell’1%). Se poi si vuole ragionare sul forte recupero che Forza Italia ha realizzato nei confronti dei sondaggi (credo, in proposito, non da ora, che gli exit polls andrebbero aboliti o ridimensionati nell’uso fattone dalla comunicazione pubblica), ritengo che le ultime due settimane di campagna elettorale abbiano segnalato una capacità del presidente del consiglio e del suo partito di condurre i temi dominanti della stessa, senza che l’opposizione riuscisse a uscire da una posizione difensiva. Anzi quest’ultima si è vista costretta a rispondere alle accuse, quasi che l’opposizione fosse già al governo con un programma già in corso d’opera, su questioni e paure che mobilitavano ampie fette dell’elettorato più istintivo. Perfino l’UDC e AN si sono dovute frettolosamente allineare all’impostazione del maggiore partito di governo, quasi comprovando in anticipo il ruolo di leadership incontrastata di Forza Italia, che pure avevano tentato di mettere in discussione nelle settimane precedenti. Il centro-sinistra è rimasto così impigliato, a mio parere, in una linea oscillante tra la strada della proposizione del proprio programma senza nulla concedere allo scontro diretto (quasi ignorando la controparte) e il confronto diretto, in cui ha subìto però l’iniziativa dell’avversario sullo scenario della comunicazione televisiva. Se si fa comunque un confronto con le elezioni politiche del 2001 nel dato proporzionale, va riscontrato che Forza Italia ha perduto quasi 6 punti percentuali, mentre quasi tutte le altre forze hanno guadagnato qualcosa, seppure in termini piuttosto ridotti se prese singolarmente (circa l’1%). Francamente, non capisco perché la coalizione sconfitta dovrebbe vantare una superiorità “morale”, considerato peraltro che la legge elettorale che ha contrassegnato questo risultato è stata voluta  ostinatamente proprio dalla ex maggioranza parlamentare, pur senza il consenso dell’ opposizione.                           

Dopo dieci anni, Prodi è nuovamente Premier. Però la nuova legge elettorale ha fornito le premesse per un ritorno delle logiche proporzionalistiche e partitocratiche da Prima Repubblica.  Siamo di nuovo al manuale Cencelli e alla moltiplicazione delle poltrone (inspiegabili altrimenti  le divisioni tra Scuola e Università, o tra Infrastrutture e Trasporti)?

E’ vero, la legge elettorale e soprattutto il risultato del voto hanno reso indispensabile il contributo di ogni singolo partito, anche quello più piccolo, al successo elettorale e al futuro mantenimento della maggioranza in Parlamento, e questo ha portato al mancato snellimento della compagine ministeriale e al dosaggio nella divisione delle cariche istituzionali. Forse l’idea di una carica istituzionale ad una figura garante vicina all’opposizione non sarebbe stata così peregrina, come hanno pensato in un primo momento Emanuele Macaluso e Vittorio Foa, e tuttavia va riconosciuto che al risultato finale si è arrivati anche per l’insistenza dei partiti di centro-destra nel non voler ammettere e legittimare la vittoria elettorale del centro-sinistra. A ciò si aggiunga che, nel confronto storico con il passato, la nomina delle alte cariche e del nuovo governo sono avvenuti in tempi molto rapidi, nonostante “l’ingorgo costituzionale”, rischio su cui, a suo tempo, il Presidente della Repubblica aveva messo in guardia. Io credo, in definitiva, che la vera questione non consista nella copertura calibrata delle caselle da parte di esponenti dei partiti alleati (com’è del resto sempre avvenuto) ma piuttosto nella capacità di ritrovare un clima sereno e di dialogo nelle istituzioni e, nell’ambito del proprio schieramento, la capacità del nuovo presidente del Consiglio di coordinare con efficacia le varie componenti. Vorrei infine aggiungere un’ultima considerazione sulla divisione dei ministeri: non è detto in assoluto che lo sdoppiamento, purché non sia dovuto a puri motivi spartitori, debba produrre necessariamente effetti negativi (lo scopriremo ad esempio nel caso della separazione avvenuta tra Scuola e Università).
 
Commentiamo pregi e difetti della nuova formazione di Governo?

Preferirei non scendere in un giudizio particolare sulle personalità che ricoprono gli incarichi ministeriali, e esprimere piuttosto una considerazione più generale. La scelta è stata quella di dare al governo un profilo prettamente politico, con il coinvolgimento diretto dei dirigenti più importanti dei partiti alleati, oltreché di due ex presidenti del consiglio, il che significa anche un’assunzione diretta di maggiore responsabilità in vista di un governo che duri e che abbia l’autorevolezza di decisioni politiche difficili e di spessore. L’attenzione urgente per il settore dell’economia e dei conti pubblici spiega poi l’affidamento del relativo dicastero ad un tecnico di notevole esperienza in ambito europeo e di fiducia del presidente del consiglio. Certo, tale logica ha comportato anche delle conseguenze che potrebbero rappresentare dei difetti, quali l’eccessivo numero di ministeri, i pochi volti nuovi e un numero ridotto di donne. È ancora troppo presto, tuttavia, per valutare pregi e difetti che si misureranno soltanto con l’azione concreta.
 
Tasto dolentissimo a mio avviso: le “quota rosa”. Solo 6 donne al governo, ma a parte Livia Turco ed Emma Bonino, le altre hanno  ministeri senza portafoglio. Ancora una volta, un limite culturale?

Condivido l’idea che vi debba essere un equilibrio nelle presenze di genere nel governo, anche al di là del fatto che vi sia stato un progresso rispetto al precedente governo. E’ evidente che, nel complesso, non si tratta di un problema di numeri, ma di qualità, e lo stesso discorso vale anche ad esempio, in merito al numero di rappresentanti della Sicilia (la presenza di 5 ministri siciliani non significherebbe necessariamente che quel governo faccia gli interessi della Sicilia). Tuttavia il fatto che vi siano meno donne ministro di quello che si era preventivato e soprattutto che siano relegate in ministeri meno importanti ci suggerisce che le alte sfere, la segreterie di partito, i ruoli dirigenziali continuano ad essere preclusi alle donne. Ma tutto ciò rimanda e rispecchia una questione molto più ampia, che investe l’intera società, il comportamento e la cultura degli uomini e delle stesse donne. Anche per questo  non credo che l’imposizione di quote rosa sia di per sé sufficiente.

Leggo dai giornali che il nuovo governo ha già abbattuto il Ponte sullo Stretto, ritirato le truppe dall’Iraq, abolito la legge Gasparri, riaperto il contenzioso sull’alta velocità. Va bene cancellare il dovuto, ma non sarebbe meglio avere  nuove idee, e migliori, da proporre?


A me sembra che le frettolose dichiarazioni di alcuni neo ministri siano state amplificate dalla stampa, anticipando decisioni che verranno prese dal consiglio dei ministri. Su alcune questioni il programma dell’Unione o le dichiarazioni programmatiche avanzano alcune soluzioni o strade da percorrere, alcune in forma generica, altre che saranno sottoposte necessariamente al confronto con le novità degli eventi nazionali o internazionali. Purtroppo i temi che hanno prevalso in questa pessima campagna elettorale hanno spesso oscurato questioni fondamentali che comunque sono all’ordine del giorno e su cui presto misureremo la volontà e le proposte della nuova maggioranza.

La Destra è adesso all’opposizione. Si sfalderà sotto le spinte centrifughe di Fini e Bossi, oppure si ricompatterà  attorno a Berlusconi? Crede che sarà banco di prova di tutto questo il prossimo referendum?

La coalizione di centro-destra finora non ha dismesso la tattica usata nella campagna elettorale che ha giovato al partito dell’ex capo di governo che, non a caso, continua su questa strada, in sintonia con la Lega, convinto che sia l’unico modo per continuare a dettare legge ai suoi alleati (e mantenere una forte presenza mediatica); Finché il centro-destra continuerà a ritenere che ferma opposizione alla nuova maggioranza consista essenzialmente nel contestarne la legittimità e tenere alto lo scontro verbale (come dimostrano gli insulti e i fischi ai senatori a vita, compreso l’ex presidente della Repubblica Ciampi, fino a poche ore prima lodato), credo che pochi spazi si aprano per i leaders di AN e UDC. Non dimentichiamo che siamo in realtà ancora in campagna elettorale. Prima ancora che il referendum, saranno le prossime elezioni amministrative a dare importanti indicazioni in merito.
 
A dispetto dell’età, Giorgio Napolitano  è davvero un uomo “nuovo”: è sicuramente la novità più eclatante un Presidente della Repubblica dell’ex P.C.I. Cosa ne pensa di questa scelta?

E’ stato giustamente osservato che con l’elezione di Napolitano si è chiusa definitivamente la cosiddetta conventio ad excludendum nei confronti di esponenti comunisti o ex comunisti (ma già la nomina dello stesso a ministro dell’interno negli anni ’90 e poi di D’Alema a presidente del consiglio avevano segnato la svolta). Credo che, dopo la rinuncia di Ciampi alla ricandidatura, quella di Napolitano fosse la candidatura piu adatta, tra quelle proposte dal centro-sinistra e forse anche in generale, a ricoprire la più alta carica dello Stato.

Dall’interno spostiamoci all’esterno: come crede che i governi esteri e quindi i mercati esteri (legittimo però il dubbio che l’ordine sia da invertire) vedranno questo spostamento a “sinistra”?

Tra i governi e gli esponenti politici più solleciti a riconoscere la vittoria del centro-sinistra, compresi quelli moderati o conservatori, vi sono stati coloro i quali ne hanno condiviso le critiche all’intervento in Iraq e si aspettano dal nuovo governo il ritorno dell’Italia ad un ruolo di protagonista nel rilancio dell’Unione Europea, in preda, da un anno a questa parte, ad una sorta di profonda impasse istituzionale e identitaria. Non vedo alcuna particolare difficoltà nelle relazioni estere in Europa, considerato che l’attuale capo di governo, già presidente della commissione europea, e gli ex presidenti del consiglio, ora ministri, hanno una lunga esperienza di rapporti internazionali. Per quanto riguarda i “mercati” esteri sappiamo che l’elemento centrale, più che lo spostamento a “sinistra”, riguarda la stabilità del governo, su cui emergono preoccupazioni, e l’urgenza del risanamento dei conti pubblici.

L’Italia ha da sempre svolto un ruolo importantissimo nel Mediterraneo, proprio per questo suo tendere geograficamente la mano ai paesi arabo-islamici. Riuscirà questo governo a ricucire gli strappi del precedente?

Dalle dichiarazioni programmatiche sembra che un punto fermo di questo governo sarà puntare a svolgere un ruolo di mediazione nell’area mediorientale con l’obiettivo del dialogo e della pace, anche sempre all’interno di una strategia concordata con l’Europa, attenta ai rapporti con gli Stati Uniti, in una condizione di alleanza e rispetto ma non sudditanza e attenta a non offendere altre sensibilità e culture. Sapere se si riuscirà in quest’intento generale di pacificazione credo che sia, al momento, chiedere troppo, specialmente in considerazione del fatto che nuove gravi crisi internazionali e scontri di civiltà si annunciano purtroppo nei prossimi mesi.

Qui mi trovo un po’ in difficoltà: non so se considerare il Vaticano in politica estera o interna. Fuor di facezia, mancando di cattocomunisti, come vede il rapporto fra un Papa intransigente e un Bertinotti non da meno?

Credo che l’Italia di oggi di tante cose abbia bisogno, fuorché di una esasperata contrapposizione tra clericalismo e anticlericalismo, fermo restando il principio della netta separazione tra stato e chiesa e la condanna di ingerenze reciproche.

Ultima domanda: siamo partiti dalle elezioni, ma in quei giorni è successo qualcosa di paritaria importanza. Almeno per certi versi. Credo poco alle coincidenze e, parafrasando, ai miei occhi è omnia immunda immundis. Sarò io malizioso ed immundus, ma lei cosa ne pensa della puntuale cattura di Provenzano?

La coincidenza di tale cattura, ma anche di altre vicende giudiziarie con il periodo immediatamente post-elettorale può in effetti ispirare l’idea che si sia scoperchiata la pentola volutamente soltanto dopo il voto. Cosa ciò voglia dire, non so, e da storico, preferisco non inseguire dietrologie; se così fosse, forse vi è stata anche l’intenzione di non turbare ulteriormente in un senso o nell’altro l’andamento di una campagna elettorale già così aspra. Possiamo sperare, a questo punto, che si tratti di segnali promettenti di un rinnovato impegno per la legalità e il mantenimento della separazione tra potere politico e potere giudiziario.


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