Pochi minuti fa i presunti autori della strage nella sede del giornale satirico sono stati uccisi in due diversi blitz. In un clima surreale e pieno di contraddizioni, dove «nessuno sembra fermarsi a riflettere sul contesto di tutto questo». A raccontarlo Andrea, 24 anni, in città da pochi mesi, e Antonio, 35enne, che vive nella capitale francese dal 2008 a cinque minuti di strada dal luogo dell'attentato
Due catanesi a Parigi dopo la strage a Charlie Hebdo «La città sembra come divisa in due universi paralleli»
«Questa non è la città da cartolina che tutti conoscono. In queste ore sembra di essere a Gotham City». Spiega così Andrea Lanzafame, studente di Storia dell’arte, 24 anni, la sua esperienza con il terrore nella capitale francese. È a Parigi dallo scorso settembre, arrivato in Erasmus al suo secondo anno di laurea magistrale. Sono passati due giorni dalla strage nella redazione del settimanale satirico francese Charlie Hebdo, nella quale sono rimaste uccise 12 persone. Oggi, in due diversi blitz, sono stati uccisi i presunti attentatori: i fratelli Said e Cherif Kouachi, che si erano rifugiati in una tipografia, così come Amedy Coulibaly, asserragliato in un supermercato ebraico. Altre quattro vittime e altrettanti feriti si sono registrati non è ancora chiaro se tra presunti ostaggi o membri delle forze speciali francesi. Ma «le notizie si susseguono senza interruzione interessando diverse parti del centro abitato, spesso anche centrali. Intanto, la città sembra come divisa in due universi paralleli -spiega Andrea, che abita in una stanzetta a poca distanza dal simbolo più famoso della città, la torre Eiffel -. Se da un lato i media ci informano degli inquietanti risvolti della situazione, dall’altro la vita sembra continuare normalmente».
«Io vivo a Bastiglia (poco distante dal luogo dell’attentato, ndr) e lo stato d’animo è teso, si oscilla tra normalità e tensione», racconta Antonio Lizzio, 35 anni, anche lui catanese: vive nella città francese dal 2008, e di mestiere fa il montatore video. «Qui, ovviamente, non si parla d’altro che di Charlie Hebdo. In centro la vita scorre normalmente salvo per una certa lentezza non consona a una città come Parigi. Poi in verità – prosegue Antonio -, è un susseguirsi di sirene della polizia e ambulanze. E militari ovunque e quartieri bloccati. Oggi per esempio la polizia ha chiuso tutti i negozi di rue De Rosier e limitrofi. Questa strada è il cuore della Parigi ebraica e già in passato – spiega l’uomo – è stata teatro di attentati. La tensione è forte e l’allerta terrorismo ai livelli massimi. Io sto bene e in fondo non ho paura però molti amici mi chiedono se sia il caso di uscire o no. Altri non hanno potuto lavorare perché i mezzi di trasporto in direzione Vincennes si bloccano a Nation, altri ancora non possono uscire dalla sede della loro società per fumare. Si vive insomma ma un po’ a singhiozzo», conclude Antonio.
«In questi giorni si è andati normalmente al lavoro in metro ben vestiti, magari leggendo il giornale e lanciando di tanto in tanto qualche occhiata sospetta di circospezione. Si continua a studiare in biblioteca scorrendo furtivamente i titoli di qualche giornale online, la sera ci si vede con gli amici per un bicchiere di vino. Dall’altro lato la città è congestionata dalla tragedia», aggiunge Andrea. Che racconta della partecipazione attiva e sentita di numerosi giovani, anche musulmani, a cortei e manifestazioni commemorative. «C’è un’opinione pubblica scossa e amareggiata che inneggia alla libertà d’opinione. Ma nessuno sembra fermarsi a riflettere sul contesto di tutto questo – conclude Andrea -. Ci sono contraddizioni di una società multiculturale apparentemente in equilibrio in cui la tanto sdoganata égalité non è mai così solida come potrebbe sembrare. E dove il nome di Le Pen e della destra estrema esce fin troppo spesso».