Un giro d’affari da 150mila euro. Questo il totale dei guadagni dello spaccio di droga in viale Moncada a Librino, registrato nei pizzini di alcuni dei 14 arrestati nelle prime ore di questa mattina colpiti da altrettante ordinanze del Tribunale di Catania. Associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, spaccio continuato di cocaina e marijuana e detenzione di armi le accuse. Tra gli arrestati, 13 pregiudicati più un incensurato, riconducibili alle contrapposte famiglie mafiose degli Arena e dei Nizza, che da anni si dividono lo spaccio di stupefacenti nel quartiere. Spicca tra gli altri il nome di Simone Arena, classe 1989, conosciuto con il soprannome di Luppino, figlio di Giovanni Arena, il boss di Librino arrestato nella notte dello scorso 25 ottobre. E Fabrizio Nizza, già comparso in altre indagini e considerato dai magistrati uno dei principali esponenti dell’ala militare dei Santapaola. L’operazione nasce da due diverse indagini condotte da Direzione distrettuale antimafia etnea tra settembre 2009 e dicembre 2010. Un periodo precedente all’arresto di Giovanni Arena latitante per 18 anni ma collegate alla sua ricerca.
Il primo filone riguarda Simone Arena, l’unico degli uomini della famiglia ancora in libertà fino a oggi, e altre nove persone: Gioacchino Biondi, Umberto Bonanno, Orazio
Castagna, Carmelo Viscuso e Antonio Battaglia già detenuti; il primo, cognato di un fratello di Arena, Giovanni Battaglia e Alfio Spampinato, tutti residenti a Catania nel quartiere di Librino. Più Roberto Sturniolo e Filippo Ciccia, entrambi di Raddusa, spacciatori che si rifornivano dai due gruppi guidati da Simone Arena e Giovanni Battaglia. Con i fratelli in galera, Arena, secondo i magistrati, era l’organizzatore dello spaccio nel Palazzo di cemento. Da decenni quartier generale della sua famiglia, appartenente al gruppo Sciuto-Tigna, alleato del clan Cappello e rivale dei Santapaola, a cui invece sono affiliati i Nizza. Già arrestato nel 2009 per spaccio, Simone Arena continuava a gestire la piazza della città satellite con la complicità di alcuni minorenni e con un sistema di controllo basato su diverse vedette, in contatto tra loro anche con delle ricetrasmittenti. Un’abitudine riferita agli investigatori anche da una delle occupanti abusive del palazzo, rapinata e costretta ad abbandonare il suo alloggio secondo i suoi racconti da alcuni dei soldati di Arena. La donna, infatti, si sarebbe rifiutata di nascondere in casa propria la droga del gruppo e, in risposta, avrebbe trovato un lucchetto alla porta della sua abitazione e costretta così a dormire per strada.
Per la seconda indagine, invece, sono state emesse le ordinanze di custodia cautelare nei confronti di Fabrizio Nizza, già sorvegliato speciale con obbligo di soggiorno, Luigi Botta e Davide Rocco Lanza, pregiudicati, e Carmelo Maraffino, incensurato. Tutti accusati di spaccio continuato di cocaina al civico sei di viale Moncada. A Nizza e Botta, inoltre, è contestata la detenzione e il porto in luogo pubblico di armi. Non solo comuni pistole, ma anche mitragliatori kalashnikov. «Si tratta comunque di un piccolo gruppo», spiegano fonti della Procura etnea. Agli indagati nell’ambito di questa seconda indagine, infatti, non viene contestato il reato associativo.
In ogni caso, l’operazione potrebbe rimettere in discussione gli equilibri del quartiere, una delle principali piazze di spaccio della città. Già resi instabili dall’arresto di Giovanni Arena, per anni boss incontrastato del traffico di droga a Librino. A succedergli nel controllo della zona, secondo i magistrati, poteva essere la famiglia Nizza, storica rivale. «Nonostante gli Arena avessero il dominio della piazza di Librino, non c’è mai stato un vero e proprio monopolio – spiega Pasquale Pacifico, sostituto procuratore della Dda etnea che ha curato le indagini su Simone Arena – I Nizza avevano comunque un loro mercato».
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