Il prodotto coltivato in provincia di Agrigento ha ottenuto la denominazione di origine protetta. Il comitato promotore smonta ogni possibile competizione con l'oro verde dell'Etna. «Tutto è cominciato quasi per gioco», spiega l'agronomo Carmelo Bruno
Dopo Bronte ecco Raffadali, il pistacchio Dop che non divide «Siamo cugini. Nessuna guerra, solo un regalo al territorio»
Guai a chiamarla la guerra dell’oro verde. Da Raffadali, nel cuore della provincia di Agrigento, c’è solo la soddisfazione di «avere regalato qualcosa di prezioso al territorio» con il riconoscimento del marchio Dop per il pistacchio. Il traguardo è stato raggiunto al termine di una trafila burocratica cominciata quasi per gioco con una chiacchierata al bar nel 2016. Un gruppo spontaneo con l’obiettivo di «esaudire un sogno», spiega a MeridioNews l’agronomo Carmelo Bruno, componente del comitato promotore del pistacchio di Raffadali insieme a Franco Nocera, Salvatore Gazziano e Rino Frenda. Romanticismo a parte, la denominazione del prodotto garantirà ricadute economiche notevoli oltre a una garanzia di tipicità riconosciuta a livello internazionale.
Per comprenderne le potenzialità basta guardare a oriente e fermarsi a Bronte, dove il pistacchio è Dop dal 9 giugno 2009 e cresce alle pendici dell’Etna sui terreni rocciosi coperti dalla lava. «Per ottenere il riconoscimento abbiamo affrontato un primo passaggio a livello regionale – continua Bruno – successivamente c’è stata l’audizione con i funzionari del ministero e la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del disciplinare». In quest’ultimo passaggio, che precede le valutazioni della Commissione europea, il consorzio di Bronte ha chiesto alcuni chiarimenti. «Fatto quello che è stato richiesto siamo riusciti a ottenere il marchio – spiega l’agronomo – Tuttavia con Bronte la questione, dopo l’opposizione con richiesta di chiarimenti, è stata risolta. Abbiamo avuto il modo di confrontarci con i cugini brontesi trovando una sintesi comune. Basti pensare che entrambi facciamo parte della filiera frutta secca siciliana. Tra noi c’è un orizzonte comune all’insegno dello sviluppo del territorio».
Ma cosa differenzia i due prodotti isolani? Alla vista degli occhi sembrano pressoché identici per colore e forma, particolari che, per esempio, permettono di differenziare quello coltivato alle pendici dell’Etna con le produzioni di Iran, Stati Uniti e Turchia, ovvero i primi tre produttori al mondo. «Il nostro pistacchio – continua Bruno – ha un sapore più dolce rispetto a quello della provincia di Catania. Questo dipende dalla diversità del terreno e dal modo in cui le piante assorbono le proprietà presenti». A differenza di quello etneo in provincia di Agrigento la raccolta non avviene ad anni alterni. «In provincia di Agrigento non ci sono difficoltà legate al terreno lavico – spiega l’agronomo – nonostante la raccolta venga fatta comunque manualmente per via dei rami molto bassi. Ovviamente anche qui si alterna un anno di carico e uno di scarico delle piante».
Al momento l’associazione pistacchio di Raffadali mette insieme 90 iscritti. «All’inizio ne facevano parte soltanto gli agricoltori locali, successivamente si sono uniti quelli provenienti da Sant’Elisabetta e Sant’Angelo Muxaro. Oggi copriamo il territorio di circa 30 Comuni», aggiunge l’agronomo. Una delle vetrine per mettere in mostra il prodotto è il Fastuca fest, versione occidentale di quello che a Bronte è ormai chiamato Expo del pistacchio, un nome poco siciliano che rimanda all’esposizione universale. «La pandemia in corso ci ha negato la gioia di potere organizzare una nuova edizione per celebrare il riconoscimento, ma sicuramente ci rifaremo appena possibile», assicura Bruno.