Sono cinque i progetti che hanno ottenuto i finanziamenti regionali. «Otto volte su dieci il rapporto lavorativo continua dopo il tirocinio - spiega a Meridionews Rossella Murella dell'associazione Donne Insieme nell'Ennese - e dà alle donne fiducia nel futuro»
Donne vittime di violenza, 250mila euro per borse lavoro «Percorsi per rientrare nella vita sociale che era preclusa»
«Sono percorsi che permettono alle donne di rientrare nella vita sociale, che è la prima cosa di cui vengono private dall’uomo che le ha maltrattate». È questo il senso delle borse di lavoro da destinare all’inserimento lavorativo delle donne vittime di violenza prese in carico dai centri antiviolenza o dalle case di accoglienza che le ospitano. La Regione Siciliana ha approvato la nuova graduatoria per il finanziamento per un totale di oltre 250mila euro spartiti tra cinque realtà disseminate su tutta l’Isola.
L’avviso era stato pubblicato lo scorso 16 aprile ed all’ente regionale, entro i termini previsti, era pervenuti sei progetti. Di questi, cinque sono stati giudicati ammissibili dalla commissione che li ha valutati. In particolare, dieci borse – per un importo complessivo di 97.050 euro – sono state assegnate alla cooperativa sociale Quadrifoglio di Santa Margherita di Belice, in provincia di Agrigento. A ottenere sei borse è stata l’associazione Le Onde di Palermo (per una cifra complessiva di 60mila euro); mentre altre quattro sono state assegnate (con un importo di 35.500 euro) all’associazione Donne Insieme di Piazza Armerina, in provincia di Enna. Tre borse sono andate all’associazione Pink project di Capo d’Orlando, in provincia di Messina e all’associazione Millecolori di Palermo, entrambe per un importo totale di 30mila euro. A essere stata esclusa è stata, invece, la cooperativa sociale Sanitaria Delfino di Raffadali, in provincia di Agrigento.
«Selezioniamo le donne seguendo un doppio canale – spiega a MeridioNews Rossella Murella dell’associazione Donne Insieme di Piazza Armerina – Da una parte quelle che si rivolgono allo sportello del centro antiviolenza e dall’altra quelle che sono ospitate nella nostra struttura di accoglienza a indirizzo segreto». La realtà intitolata a Sandra Crescimanno – ragazza originaria della cittadina dell’Ennese uccisa a coltellate a Venezia nel 1983 da un suo amico professore di musica che si era invaghito di lei ed era stato rifiutato – nasce nel 2010 con la finalità di accogliere e tutelare le donne vittime della violenza di genere. «Nella nostra esperienza – racconta Murella – le borse lavoro sono uno strumento molto prezioso che ci permette di instradare le donne nel mondo del lavoro».
Tirocini della durata di sei mesi cui le donne vengono indirizzate dopo un periodo di orientamento e bilancio delle competenze «che servono per le attitudini e le propensioni delle diverse donne», precisa Murella. In pratica chi è appassionata di cake design verrà indirizzata verso una pasticceria, chi sa cucire bene a una sartoria e così via per l’inserimento in attività di parrucchiere, estetiste, panifici. «La scelta dipende anche dalle esperienze precedenti già vissute dalla donne – spiega l’operatrice – Per quelle che, invece, non sono ancora mai entrate nel mondo del lavoro l’obiettivo è capire per cosa sono più portate».
Il percorso del tirocinio viene seguito dall’associazione con attività di costante tutoraggio. «Otto volte su dieci, tra la donna e l’azienda si costruisce poi un rapporto lavorativo continuativo – dice Murella – In passato, solo nel 20 per cento dei casi la relazione lavorativa si è interrotta». Perché la donna ha fatto dietrofront di fronte all’offerta, perché l’azienda non ha potuto garantire una continuità lavorativa dal punto di vista economico oppure perché la donna è tornata con il marito maltrattante. «In ogni caso, l’esperienza del tirocinio è fondamentale per una vittima di violenza dal punto di vista della crescita dell’autostima personale e dell’empowerment. È il modo migliore – conclude – con cui una donna si risolleva trovando in sé la forza e la fiducia per riprendere in mano la propria vita e ben sperare nel futuro anche perché spesso c’è una stretta correlazione tra la mancanza del lavoro e la violenza domestica dovuta a una dipendenza economica che diventa anche psicologica».