I bimbi detenuti con le madri in carcere: «Sono liberi, ma vivono da reclusi». La Regione tenta un progetto sperimentale

«In teoria, sarebbero liberi. In pratica, vivono quasi da reclusi». Sono i figli di donne detenute, come il bambino neonato di appena un mese che, all’inizio di giugno, è finito in una cella della casa circondariale Pagliarelli di Palermo insieme alla madre. Per loro, il lieto fine è arrivato dal cappellano dello stesso carcere, frate Loris, che si è proposto per prendersi cura di loro in una struttura. «Ma cosa succederà la prossima volta che sull’Isola si presenterà la stessa situazione?». È una domanda che assilla Giorgio Bisagna, il presidente di Antigone Sicilia. In particolar modo in questo momento in cui, dall’1 aprile, è rimasto vacante il posto di garante dei detenuti siciliani. Intanto, dall’assessorato regionale alla Famiglia e alle Politiche sociali, proprio qualche giorno fa, è stato pubblicato un avviso per finanziare, con oltre 294mila euro di fondi del ministero della Giustizia, un progetto sperimentale per genitori, con bambini al seguito, per cui l’autorità giudiziaria ha disposto una misura alternativa alla detenzione in una struttura residenziale extra-carceraria.

«È importante che ci sia una volontà politica in questa direzione – afferma Bisagna a MeridioNews – ma non basta». Non basta in una regione senza Icam, gli istituti a custodia attenuata per madri che, dal 2011, sono stai pensati per ospitare donne incinte o con figli fino ai sei anni. «Sono strutture che somigliano più a case famiglia che a carceri vere e proprie – spiega al nostro giornale Santi Consolo che fino ad aprile è stato il garante dei detenuti siciliani – Lì non esistono sbarre, gli ambienti sono curati e idonei a soddisfare le esigenze psico-fisiche dei bambini che, possono stare accanto alla madre, ma senza rinunciare alle loro attività». Anche quelle all’esterno delle mura. In Italia esistono cinque Icam, per un totale di 60 posti disponibili: Milano San Vittore, Venezia Giudecca, Lauro (Avellino), Torino e Cagliari Uta. In alcuni istituti penitenziari ordinari, ci sono delle aree apposite interne – tipo le sezioni nido – che possono ospitare madri con bambini fino a tre anni. E poi ci sono le case famiglia che, però «non sono idonee per tutte le tipologie di madri detenute – fa presente Consolo che ha contribuito alla realizzazione dell’Icam di Torino e della casa protetta Casa di Leda a Roma – perché bisogna anche considerare il tipo di reati per cui queste donne sono ristrette». Nei casi di reati gravi (per esempio, associazione mafiosa o traffico internazionale di stupefacenti) o di pericolosità sociale per l’alto numero di recidive, sono necessarie strutture che rispondano anche a caratteristiche di sicurezza.

Intanto, dalla Regione è arrivato un bando per un progetto (che dovrà avere una durata tra 18 e 24 mesi) che si basa su un «modello integrato di accoglienza residenziale» e che prevede «una presa in carico multidisciplinare, l’accompagnamento alla genitorialità e un graduale reinserimento sociale» di genitori sottoposti a misure alternative alla detenzione, accompagnati da bambini. «Vogliamo garantire un supporto capace di rispondere ai bisogni complessi dei genitori e dei loro figli – dichiara l’assessora Nuccia Albano – con percorsi educativi, lavorativi, abitativi e psicosociali personalizzati. La misura ha una duplice finalità – sottolinea – evitare la presenza di bambini in carcere e tutelare la genitorialità e l’infanzia». Oltre queste due finalità guarda Santi Consolo pensando a un allargamento della tutela dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. «L’ideale sarebbe realizzare una struttura che sia attiva all’occorrenza – afferma – con un’amministrazione penitenziaria che sia duttile nel metterla a disposizione anche a un’utenza di tipo diverso».

Quello dei genitori in carcere con i figli, infatti, è un fenomeno che è diminuito negli anni. Al momento, stando agli ultimi dati disponibili di Antigone, sarebbero undici le madri detenute con i bambini (di cui nove straniere). «Per questo, bisognerebbe cominciare a ragionare sul fatto che, quando in quelle strutture non c’è bisogno di ospitare donne madri – analizza Consolo – potrebbero accogliere detenuti che presentano necessità di custodia più attenuata». Un discorso che l’ormai ex garante dei detenuti siciliani fa pensando a chi «per personalità o per il percorso seguito all’interno delle mura non presenta rischi sotto il profilo di ordine pubblico, né di recidiva, né di rischio di evasione e che – aggiunge – hanno voglia di fare attività per un maggiore recupero sociale». Che, in fondo, dovrebbe essere la vera funzione del carcere.


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