da più di un anno non viaggio, e dire che sono sempre in viaggio...
Domeniche pavesi
Il silenzio, lo attraverso certe domeniche mattina, qui a Pavia, col freddo e la nebbia. Non c’è rumore e le strade sono deserte. Mento, orecchi e naso, intirizziti dal freddo, mani in tasca, testa bassa, passo tra le vecchie torri, vicino all’università. In un atmosfera così irreale penso che possa accadere di tutto, perché ho l’impressione di aver superato un varco, di passare in una dimensione parallela, in un mondo in cui magari si realizzano i desideri più impensabili.
Potrei incontrare qualcuno o qualcosa.
Io solo, in mezzo al nulla, potrei imbattermi in un’altra solitudine, una persona che cammina in senso opposto, un cane che cerca da mangiare, un genio che ha smarrito la sua accogliente lampada.
Se vuoi, ti presto un bottiglia, una lampada proprio non saprei dove trovarla… perché non esprimi un desiderio e non te lo realizzi da solo?
Il genio non c’è, non c’è neanche il famoso cane che certificherebbe la potenziale compagnia. Non c’è nessuno.
Io, solo io, il mio corpo, le mie scarpe, i ciottoli, fastidiosi, sotto i miei piedi.
Decido allora di allungare il mio giro. Scendo per Strada Nuova e arrivo al Ticino. La nebbia non è fittissima, il fiume riesco a vederlo e a sentirlo. Rumore. Acqua che scorre. Movimento indipendente da me. Guardo verso Borgo Ticino. Le case colorate, i pianterreno umidi di alluvioni recenti e passate. Faccio due passi lungo l’argine.
Poi riattraverso la strada e mi dirigo verso San Michele, l’unica chiesa in pietra arenaria di Pavia: antica e logora, luminosa e stanca. Torna il silenzio, vado verso casa.
Le vecchie strade medievali sono strette e tortuose.
Una volta, in una di queste viuzze, ho visto un topone sproporzionato, e un gatto che sembrava fuggire da lui, l’indiscusso padrone della strada, il re roditore a cui ho ceduto molto volentieri il passo. Oggi non c’è neanche lui, non ha voglia di trovarsi in mezzo al nulla, lui ha bisogno della vita, o dei suoi scarti, per essere ciò che è.
Io mi arrampico per una delle rare pendenze di questa città, e scopro il motivo del mio domenicale vagabondaggio nel silenzio pavese: sento ogni mio minimo pensiero. I più belli come i peggiori, do loro udienza, e finalmente riesco a comprenderli, ad interpretarli forse, a fraintenderli. In tutta libertà.
Così passa un’altra domenica, e consumo l’ennesima settimana di confusione.