Dolenti note rossazzurre Teoria e pratica di una domenica di calcio

C’’è chi dice che il gol del colombiano Ibarbo –– che recupera un pallone destinato a finire sul fondo, sguscia, in oltraggio alle leggi della fisica, in mezzo a due nostri difensori, ne manda uno gambe all’’aria, ne inchioda un altro sul posto, e infila in rete non prima di aver steso al suolo anche il portiere –– sia stato il più bello tra quelli segnati in serie A dall’’inizio del campionato. Ma chi se ne importa? Il godimento estetico disinteressato è probabilmente l’’ultimo dei pensieri di quanti sono soliti trascorrere le domeniche allo stadio. Trovatemi qualcuno che vada alla partita con la prevalente aspettativa di vedere del bel calcio (salvo il caso, s’’intende, che la bellezza del gioco sia utile e funzionale alla vittoria della propria squadra: nel qual caso però, direbbe Benedetto Croce, si esce dal campo teoretico dell’’estetica per entrare nel terreno pratico dell’’economia, che è appunto scienza dell’’utile).

Del resto il calcio è probabilmente –– come qualcuno ha fatto osservare –– l’’unica attività umana in cui il pubblico, quando più sta godendo dello spettacolo cui assiste, tanto più nervosamente consulta l’’orologio, nella speranza che quello spettacolo finisca presto. Così come del resto, se stai assistendo a una partita ripugnante in cui la tua squadra soccombe miseramente, ti rimane sempre l’’irragionevole speranza che all’’arbitro si rompa il cronometro, che l’’oscena gara si protragga oltre i limiti della decenza e che il risultato, contro ogni logica, si capovolga. Non ho idea di come Benedetto Croce spiegherebbe tutto questo; ma che sia così, c’’è poco da discutere.

Ora, se fosse dipeso dai desideri degli spettatori del Massimino, forzati al digiuno domenicale –– fischio d’inizio alle 12.30 –– in nome dello spezzatino televisivo (che comunque sazia molto meno di quello con le patate), e in più costretti ad assistere a una delle più brutte partite dell’’anno, Catania e Cagliari starebbero ancora giocando. E invece, mentre tutti gli altri giustamente si compiacciono del fantastico gol di Ibarbo, a noi tocca chiederci se la seconda sconfitta interna consecutiva dei rossazzurri (o la terza, se contiamo anche la Coppa Italia) significhi per caso che, su questa squadra, stavamo facendoci qualche illusione di troppo. Un fatto comunque è sicuro: il Catania quest’’anno ha fatto meglio, quasi sempre, quando ha giocato contro squadre che sulla carta dovevano farne polpette (Juve, Napoli, Inter, Lazio, Fiorentina). Mentre è andato spesso in bianco contro avversari che non sembravano niente di che (per esempio il Siena, il Chievo e, oggi, il Cagliari).

Ma c’’è un altro fatto certo: il migliore dei nostri, oggi, è stato Maxi Lopez. Nell’ultima gara interna contro il Chievo, quando si mise a litigare col pallone sotto il braccio per tirare il rigore che aveva appena conquistato (rigore poi calciato, e purtroppo sbagliato, da Lodi), Maxi si era attirato una discreta quantità di improperi dalla tribuna, sostanzialmente meritati sul piano del comportamento (il rigore lo tira chi è designato dalla panchina), ma forse un po’ ingenerosi nei toni (ho ragione di credere che Lopez volesse tirare il rigore perché era convinto di segnarlo). Martedì scorso, nella partita di Coppa Italia con il Novara, qualcuno se l’’è presa con lui perché, dopo aver segnato un bel gol, non ha inscenato nessuna delle esultanze preconfezionate – e molto spesso inguardabili – che vanno di moda sui nostri campi. Oggi è stato tra i pochi a sbattersi, a correre e a tirare, obbligando il portiere del Cagliari, a tempo scaduto, a fare la sua unica parata. Si dice che Lopez a gennaio finirà al Milan o a qualche altra grande squadra, e magari sarà pure così. Ma –– a parte che non si sa mai –– finché gioca nel Catania, e finché gioca come ha fatto oggi, che senso ha tenerlo in panchina? Io voglio ancora vedere Maxi Lopez segnare con la maglia del Catania. Di come esulta, poi, non me ne può fregar di meno.

[Foto di Leandro’s World Tour]


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