Disabili senza servizi, i genitori chiedono assistenza «Dopo di noi, chi li curerà? Meglio andare in Canada»

«Chiediamo che i servizi di assistenza all’autonomia e alla comunicazione nati per i sordomuti, che non riuscivano a interfacciarsi con gli insegnanti di sostegno, vengano estesi anche ai bambini autistici, dislessici, down e con altri tipi di patologie». Partono dai diritti basilari le richieste dei genitori della sezione Motta Sant’Anastasia-Misterbianco dell’Associazione 20 novembre 1989, coordinata da Salvo Scuderi e Clelia Duff. Nonostante l’anno scolastico sia già iniziato da oltre un mese, molti bambini sordumuti non vanno ancora a scuola per la mancata attivazione del servizio. «Potrebbe attivarlo a fine novembre», afferma speranzoso papà Salvo. 

«La nostra problematica è che i Comuni non hanno i soldi per incrementare le ore alle insegnanti di sostegno e chiedono all’Asp di limitarsi a coprire l’orario curriculare. L’Asp – sottolinea a MeridioNews Scuderi, padre di una bimba di 9 anni affetta da autismo – non dovrebbe essere accondiscendente nei confronti del Comune, ma valutare le reali necessità del singolo bambino secondo specifiche diagnosi». 

Alcuni membri dell’associazione si sono recati personalmente dai dirigenti Asp per chiedere che venga rispettato il diritto dei loro figli. Si sono rivolti anche ad alcuni consiglieri comunali di Motta Sant’Anastasia chiedendo di presentare una lettera per destinare una parte del bilancio dell’ente alla copertura della somma necessaria per i servizi ai ragazzi disabili. «Così facendo creano, forse senza rendersene conto, un danno psicologico al bambino – lamentano – che ha bisogno di stare a contatto con i compagni di classe».

Un altro servizio che sta a cuore alle famiglie dell’associazione 20 novembre 1989, presieduta dall’avvocato Maurizio Benincasa, stavolta richiesto direttamente alle scuole, è quello igienico sanitario. «Solitamente se ne occupa il personale Ata – riferiscono i genitori – che interviene sui bambini dopo una semplice formazione di 32 ore, non senza timore da parte loro e nostra. Sarebbe necessario avere personale specializzato, magari un operatore socio assistenziale o un operatore socio sanitario per evitare problematiche, soprattutto a quelli in carrozzina». Perché sono già tanti le vicissitudini che queste famiglie affrontano ogni giorno. «Dal traffico ai marciapiedi affollati, dalla burocrazia lenta e incompetente al contrassegno per il parcheggio dei disabili. I vigili urbani dicono che un bambino in grado di deambulare non ha bisogno del pass, ma anche un bambino autistico, che non ha controllo cerebrale, in realtà ne necessita».

E lo sa bene questo papà, che dal primo momento si è dato da fare per assicurare alla figlia le migliori cure e attenzioni. «Le terapie finora le ha fatte tutte a pagamento da una logopedista privata che ci supporta anche psicologicamente. Io e mia moglie desideriamo che nostra figlia stia a contatto con i bambini normodotati affinché riesca a inserirsi meglio nel tessuto sociale». Ma la coppia sta pensando anche di lasciare la Sicilia, forse l’Italia. «Ritengo che in Australia e in Canada ci sia davvero un concetto ben solido di inclusione sociale e non nego che sto tentando di spostarmi, cosa che non farei se riuscissimo a includere davvero questi ragazzi nella società».

Un’altra delle battaglie che stanno portando avanti è quella della sensibilizzazione dell’opinione pubblica. «Noi genitori cerchiamo di associarci, creiamo gruppi, facciamo passaparola per sopperire alla mancanza di comunicazioni e informazioni su medici ed esenzioni. Ci dobbiamo rimboccare le maniche e vorremmo più sensibilizzazione da parte degli enti locali, della provincia, della Regione, dell’Asp». E nonostante qualche rassicurazione sia già arrivata, resteranno vigili fin quando non verranno loro concessi questi servizi. «Dobbiamo spingere per fare capire che questi bambini hanno bisogno sempre di noi genitori, che ci muoviamo per loro e li proteggiamo. Ma, ci chiediamo, quando un giorno noi non ci saremo più chi proteggerà questi ragazzi?». 


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