Dirigenti generali della Regione illegittimi: la sentenza del Tar Sicilia (testo integrale)

Pubblichiamo la sentenza integrale del TAR sui dirigenti regionali che vi abbiamo sintetizzato e anticipato in questo articolo.

N. 01244/2014 REG.PROV.COLL.

N. 02026/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2026 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da:

Salvatore Taormina e Alessandra Russo,

rappresentati e difesi dagli avv. Francesco Castaldi e Federico Castaldi, con domicilio eletto presso Francesco Castaldi in Palermo, via Principe di Villafranca, 29;

contro

Presidenza della Regione Siciliana e Giunta di Governo della Regione Siciliana, rappresentate e difese per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Palermo, via A. De Gasperi, 81;

nei confronti di

Giuseppa Patrizia Monterosso, rappresentata e difesa dagli avv. Giovanni Immordino, Giuseppe Immordino e Giuseppe Nicastro, con domicilio eletto presso Giovanni Immordino in Palermo, via Libertà, 171;

per l’annullamento

– quanto al ricorso principale –

del D.P. Reg. n. 5068 del 19 luglio 2012 con il quale, in esecuzione della deliberazione della Giunta Regionale n. 248 del 13 luglio 2012, veniva conferito l’incarico di Segretario Generale della Presidenza della Regione alla dott.sa Giuseppa Patrizia Monterosso, soggetto esterno all’Amministrazione regionale, per la durata di anni quattro.

– quanto ai motivi aggiunti –

della delibera n. 49 del 5 febbraio 2013, con la quale la Giunta Regionale siciliana conferma l’incarico di Segretario Generale della Presidenza della Regione, sino alla sua naturale scadenza, ex art. 9, comma 3, l. r. n.10 del 2000 in favore di Patrizia Monterosso, già conferitole con Decreto Presidente Regione n. 5068 del 19 luglio 2012.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza della Regione Siciliana, della Giunta di Governo della Regione Siciliana e di Giuseppa Patrizia Monterosso;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 aprile 2014 la dott.ssa Caterina Criscenti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con ricorso notificato il 2 novembre 2012 e ritualmente depositato Salvatore Taormina e Alessandra Russo, dirigenti di ruolo della Regione Siciliana, impugnavano il D.P. Reg. n. 5068 del 19 luglio 2012 con il quale, in esecuzione della deliberazione della Giunta Regionale n. 248 del 13 luglio 2012, veniva conferito l’incarico di Segretario Generale della Presidenza della Regione a Giuseppa Patrizia Monterosso, soggetto esterno all’Amministrazione regionale, per la durata di anni quattro.

Sintetizzato il contenuto dei provvedimenti impugnati, ne affermavano l’illegittimità per 1. Violazione e falsa applicazione del D.L.G.S n.165/2001. Violazione e falsa applicazione della l.r. n.28 del 1962 e s.m.i. Eccesso di potere per illogicità, errata previsione dei criteri, errata valutazione dei presupposti, sviamento di potere; 2. Violazione e falsa applicazione della legge n. 241/1990 e dei principi generali vigenti in materia anche in relazione all’art. 97 Cost.; 3. Violazione e falsa applicazione del D.LGS. 165/2001. Eccesso di potere. Carenza di istruttoria, difetto assoluto di motivazione; ed ancora per 4. Violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di contenimento della spesa pubblica. Concludevano, pertanto, chiedendo al Tribunale “di annullare i provvedimenti impugnati e condannare i convenuti al risarcimento dei danni morali e di perdita di chance”.

Si costituiva in giudizio la Presidenza della Regione Siciliana e la Giunta per il tramite dell’Avvocatura distrettuale dello Stato, producendo documentazione.

Resisteva in giudizio anche la controinteressata, che con memoria dell’11 dicembre 2012 eccepiva l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in subordine l’inammissibilità del ricorso collettivo proposto dai due dirigenti per conflittualità delle loro posizioni ed ancora l’inammissibilità del ricorso sia per carenza d’interesse, essendo i ricorrenti inquadrati nella terza fascia dirigenziale, alla quale non possono essere attribuiti incarichi dirigenziali apicali, oltre che per mancata impugnazione della deliberazione della Giunta regionale n. 248 del 13 luglio 2012, atto presupposto.

Con memoria depositata il 28 marzo 2013 anche l’Avvocatura dello Stato eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice adito, svolgendo comunque difese di merito e chiedendo, altresì, il rigetto della domanda risarcitoria.

Con ricorso per motivi aggiunti, notificato il 29 marzo 2013 all’Avvocatura dello Stato e direttamente a Patrizia Monterosso e depositato il 17 aprile 2013, gli originari ricorrenti impugnavano la delibera n. 49 del 5 febbraio 2013 con la quale la Giunta regionale siciliana confermava, ex art. 9, comma 3, l. r. n.10 del 2000, l’incarico di Segretario Generale della Presidenza della Regione in favore di Patrizia Monterosso. Ribadivano la sussistenza della giurisdizione amministrativa trattandosi di atti dotati di carattere autoritativo, avulsi dagli ordinari poteri del privato datore di lavoro ed espressione della potestà organizzativa dell’ente, e specificavano che “La conferma del predetto incarico quale atto consequenziale degli atti presupposti impugnati con il ricorso introduttivo deve essere annullato congiuntamente a questi ultimi”, così insistendo per la condanna al risarcimento dei danni morali, di immagine e di perdita di chance.

In data 3 marzo 2014 i ricorrenti depositavano documenti ed una memoria con la quale replicavano alle eccezioni e difese delle controparti.

Con memoria del 26 marzo 2014 la difesa della controinteressata ribadiva l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione e prospettava l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza d’interesse, posto che la dott. Monterosso era stata nuovamente nominata dall’attuale Giunta regionale con delibera n. 49 del 5 febbraio 2013, asseritamente impugnata dai ricorrenti – secondo quanto riportato nell’ultima memoria – con motivi aggiunti non notificati però ai sensi del comb. disp. artt. 43, co. 2, c.p.a. e 170 c.p.c. presso il domicilio eletto, e rispetto ai quali dichiarava di non accettare alcun contraddittorio

All’udienza pubblica del 16 aprile 2014 la causa è stata chiamata e posta in decisione.

DIRITTO

1. Occorre preliminarmente esaminare l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla controinteressata Monterosso e dall’amministrazione resistente.

1.1. La valutazione dell’eccezione richiede la previa esatta individuazione dell’oggetto del giudizio, altro profilo su cui, peraltro, si incentrano i rilievi di inammissibilità formulati dalla difesa della controinteressata. Asserisce, infatti, quest’ultima che il ricorso principale sarebbe inammissibile anche per mancata impugnazione dell’atto presupposto, ossia della deliberazione della Giunta regionale n. 248 del 13 luglio 2012.

Il rilievo non coglie nel segno.

L’oggetto dell’impugnativa promossa col ricorso principale (di quello per motivi aggiunti si dirà più avanti) è da individuare tanto nella deliberazione di Giunta regionale n. 248/12, quanto nel decreto presidenziale n. 5068/12 che, privo di autonomo contenuto e motivato essenzialmente con riferimento alla deliberazione suddetta, ne costituisce atto esecutivo.

Al di là del dato squisitamente formale rappresentato dalla ambigua formulazione dell’epigrafe del ricorso, ove la domanda di annullamento appare indirizzata avverso il D.P. 5068/12, adottato “in esecuzione della deliberazione della Giunta Regionale n. 248 del 13 luglio 2012”, la lettura dell’intero atto introduttivo del giudizio, nella sua articolazione in fatto ed in diritto, proposto fra l’altro nei riguardi tanto della Presidenza quanto della Giunta, non lascia dubbio alcuno in merito alla volontà dei ricorrenti di contestare ed ottenere l’annullamento di entrambi i provvedimenti.

La parte in fatto, iniziale e descrittiva, dà, infatti, conto anche del testo della delibera di Giunta, i motivi in diritto sono proposti avverso il decreto e la deliberazione, e nel corpo delle censure ci si riferisce sempre ai “provvedimenti impugnati” dei quali, nelle conclusioni, si chiede l’annullamento.

1.2. Così precisato l’oggetto del giudizio e tenuto conto della concreta formulazione della domanda, il Collegio ritiene che l’eccezione di carenza di giurisdizione debba essere respinta, essendo la controversia radicata avanti al giudice amministrativo legittimato in sede di riparto.

A sostegno dell’assunto è sufficiente richiamare la motivazione dell’ordinanza delle Sezioni Unite, segnalata dalla stessa difesa della controinteressata nella memoria conclusiva, ordinanza intervenuta su regolamento di giurisdizione promosso in un analogo giudizio (il n. 926/10 R.G.), proposto proprio innanzi a questo Tar sempre nei confronti, tra gli altri, della Monterosso.

Le Sezioni Unite, con l’invocata ordinanza del 3 novembre 2011, esattamente la n. 22733 (non risultando corretto il numero citato nella sentenza n. 213/12, che ha definito il giudizio n. 926/10 R.G. cit., riportata dalla controinteressata), hanno:

– riconosciuto che “spettano alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie nelle quali, pur chiedendosi la rimozione del provvedimento di conferimento di un incarico dirigenziale (e del relativo contratto di lavoro), previa disapplicazione degli atti presupposti, la contestazione investa direttamente il corretto esercizio del potere amministrativo mediante la deduzione della non conformità a legge degli atti organizzativi, attraverso i quali le amministrazioni pubbliche definiscono le linee fondamentali di organizzazione degli uffici e i modi di conferimento della titolarità degli stessi”;

– nello specifico giudizio, affermato la giurisdizione del giudice ordinario, rilevando che “l’oggetto di impugnazione è costituito esclusivamente dagli atti di conferimento degli incarichi e dalla delibera relativa alla cessazione degli incarichi dei ricorrenti: sicché l’illegittimità di quest’ultima deriverebbe non da una diversa scelta organizzativa dell’amministrazione, che dovrebbe essere valutata dal giudice amministrativo, ma direttamente dal conferimento degli incarichi esterni, come evidenzianti l’intenzione dell’amministrazione di adottare una scelta di esternalizzazione degli incarichi, la quale, tuttavia, deve plausibilmente trovare sostanza in un atto autonomo che colleghi “cessazione degli incarichi interni” e “conferimento degli incarichi esterni” e deve necessariamente essere oggetto di specifica impugnazione”.

Nel caso in esame, invece, come si è già sopra precisato, oggetto principale della lite è proprio l’atto col quale l’amministrazione fissa i modi di conferimento dell’incarico e manifesta l’intenzione di adottare, ai sensi degli art. 9 l.r. n. 10/2000 e 11 l.r. n. 20/2003, una scelta organizzativa di esternalizzazione, espressione di un potere pubblico discrezionalmente esercitato in termini generali (programmi di attività, criteri e procedure di conferimento, determinazione di ricorrere all’esterno: cfr. art. 2, co. 1, D.lgs. 30 marzo 2011, n. 165), rispetto al quale rilevano posizioni giuridiche soggettive di interesse legittimo.

1.3. E che si tratti, in casi del genere, di atti di organizzazione è confermato testualmente pure dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 156 del 28 aprile 2011, con la quale è stato dichiarato inammissibile il conflitto di attribuzione tra enti promosso dal Presidente del Consiglio dei Ministri a seguito di deliberazioni della Giunta della Regione siciliana adottate ai sensi dell’art. 9, comma 8, l.r. n. 10 del 2000, proprio sul presupposto che “Le delibere impugnate sono riferibili all’organizzazione degli uffici regionali, materia di competenza legislativa esclusiva regionale”.

Né muta i termini della questione la circostanza che la delibera di Giunta, impugnata insieme al provvedimento presidenziale di nomina, contenga, oltre alle riferite scelte macro-organizzative, anche l’individuazione del soggetto cui attribuire l’incarico, prodromica a sua volta all’adozione del pedissequo provvedimento presidenziale.

Anche a concedere al provvedimento della Giunta la duplice valenza di atto macro-organizzativo e gestionale-paritetico di conferimento dell’incarico, sussiste comunque la giurisdizione del giudice amministrativo, atteso che il conferimento dell’incarico alla Monterosso è logicamente consequenziale all’adozione di criteri di conferimento che, secondo la prospettazione di parte ricorrente, sono stati elaborati proprio allo scopo di pervenire illegittimamente alla ritenuta assenza di professionalità interne all’Amministrazione, circostanza necessaria, a sua volta, per supportare la determinazione di ricorrere all’esterno per attribuire l’incarico. Entrambe le scelte implicano, come appare evidente, un momento valutativo discrezionale ed autoritativo, del tutto incompatibile con un atto paritetico di gestione proprio del rapporto di lavoro pubblico privatizzato (sul carattere discrezionale delle nomine dirigenziali che “rende non implausibile” l’affermazione della propria giurisdizione da parte del giudice amministrativo, cfr. anche Corte Cost., 23 marzo 2007, n. 104).

Deve, pertanto, essere ritenuta e dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo.

2. Ciò puntualizzato, occorre dar conto degli altri rilievi di inammissibilità.

Ritiene il Collegio che, tra questi, sia logicamente preliminare quello che si appunta sulla proposizione del ricorso in forma collettiva. Rileva la controinteressata che sussisterebbe un conflitto di interessi tra le posizioni dei ricorrenti, posto che entrambi assumono di essere in possesso dei requisiti necessari per ricoprire il posto – che è unico – di Segretario Generale.

Si difendono i ricorrenti, rilevando che essi non chiedono la nomina al posto di Segretario Generale, ma il riconoscimento dell’intervenuta lesione dell’interesse legittimo ad un corretto esercizio della discrezionalità amministrativa nelle scelte di natura macro-organizzativa adottate dalla Regione con la delibera impugnata.

2.1. La difesa sul punto è persuasiva, sicché l’eccezione è da respingere.

In effetti le censure mosse dai ricorrenti, come si è già detto, sono dirette avverso i criteri, le procedure di valutazione e la determinazione della Regione di ricorrere all’esterno, previa affermazione di non rinvenibilità nei propri ruoli delle professionalità richieste.

Invero l’Amministrazione convenuta non avrebbe reso pubblica la disponibilità del posto vacante, né avrebbe pubblicato un avviso interno che informasse i dirigenti della necessità di coprire l’incarico e della professionalità richiesta e conseguentemente non ha potuto acquisire la disponibilità dei dirigenti all’assunzione dell’incarico attraverso la trasmissione dei loro curriculum, limitandosi ad esaminare le professionalità interne mediante valutazione delle schede sintetiche contenute nell’archivio informatico, non aggiornate e comunque non specificamente e congruamente formulate con riferimento all’incarico da attribuire. Peraltro il conferimento dell’incarico sarebbe avvenuto sulla scorta di criteri alquanto incoerenti rispetto alla natura e alle caratteristiche dei programmi da realizzare nell’ambito delle competenze proprie della Segreteria generale, venendo meno alle prescrizioni imposte dall’art. 9, comma 1, L.r. n.10 del 2000.

Ne consegue che l’eventuale annullamento della deliberazione di Giunta e del conseguente atto di nomina avrebbe come esito non l’attribuzione dell’incarico, ma soltanto la riedizione del potere discrezionale secondo l’effetto conformativo.

3. Se, però, in questi termini astratti non vi sono ragioni per escludere la proponibilità di un ricorso in forma collettiva, va aggiunto che i due ricorrenti assumono di avere un interesse legittimo al corretto esercizio del potere, in quanto entrambi in possesso dei requisiti necessari a ricoprire quel posto, mentre la difesa della Monterosso assume che essi non avrebbero titolo, ai sensi della normativa vigente (artt. 9, co. 4 e 8, l.r. n. 10/2000 e 11, co. 4 e 5, l.r. 20/03), ad assumere l’incarico di Segretario generale, essendo dirigenti di terza fascia. Per questo motivo sarebbe ravvisabile una carenza d’interesse.

3.1. Rileva a tal proposito il Collegio che sebbene sia stata proprio la stessa Giunta, nell’atto impugnato, a scrutinare anche questa categoria di dirigenti, compresi i due ricorrenti, scegliendo espressamente di effettuare “una seconda ricognizione con riferimento ai dirigenti anche di terza fascia, che abbiano ricoperto incarichi di struttura di massima dimensione”, sicché gli odierni ricorrenti sono stati parte del procedimento, per altro non è in loro ravvisabile la qualità di “giusta parte” cui corrisponde l’interesse sostanziale a ricorrere.

È corretto, infatti, il rilievo della controinteressata, condiviso peraltro espressamente dalla difesa dell’amministrazione (sia pure con espresso riferimento solo all’art. 9, l.r. n. 10/00: vd. pag. 3 della memoria del 28 marzo 2013), secondo cui la normativa regionale non consente l’affidamento degli incarichi di dirigente generale ai dirigenti di terza fascia.

3.2. Occorre dare rapidamente conto della normativa in questione.

Ai sensi dell’art. 9, co. 4, l.r. n. 10/00 l’incarico di dirigente generale può essere conferito “a dirigenti di prima fascia, e nel limite di un terzo, che può essere superato in caso di necessità di servizio e nel rispetto del limite numerico di cui alla tabella A allegata alla presente legge, a dirigenti di seconda fascia ovvero a soggetti di cui al comma 8”, ossia a persone non dei ruoli dell’Amministrazione.

L’art. 11 l.r n. 20/2003, contenente “Misure urgenti per la funzionalità dell’Amministrazione regionale”, dopo aver stabilito che l’incarico di dirigente generale poteva essere affidato a dirigenti di prima fascia o ad esterni (comma 4), prevedeva al comma 5, nella sua originaria stesura, che “L’incarico di dirigente generale può essere, altresì, conferito a dirigenti dell’amministrazione regionale, appartenenti alle altre due fasce, purché, in tal caso, gli stessi siano in possesso di laurea, abbiano maturato almeno sette anni di anzianità nella qualifica di dirigente, …”

L’inciso “appartenenti alle altre due fasce” veniva impugnato dal Commissario dello Stato che rilevava come la previsione “si porrebbe in contrasto con l’art. 97 della Costituzione sotto il profilo del buon andamento della pubblica amministrazione, in quanto consentirebbe il conferimento delle funzioni di dirigente generale anche ai dirigenti della c.d. “terza fascia” (i quali, prima dell’entrata in vigore della L.R. 15 maggio 2000, n. 10, recante “Norme sulla dirigenza e sui rapporti di impiego e di lavoro alle dipendenze della Regione Siciliana. Conferimento di funzioni e compiti agli enti locali. Istituzione dello Sportello unico per le attività produttive. Disposizioni in materia di protezione civile. Norme in materia di pensionamento”, svolgevano funzioni direttive e non dirigenziali) senza alcuna verifica delle loro capacità professionali ed attitudinali in relazione al nuovo incarico”. Con ord. 28 aprile 2004, n. 131 la Corte Costituzionale dichiarava cessata la materia del contendere, rilevando che “dopo la proposizione del ricorso, la legge approvata dall’Assemblea regionale siciliana il 13 novembre 2003 è stata promulgata (L.R. 3 dicembre 2003, n. 20) con omissione delle parti impugnate, sicché risulta preclusa la possibilità che sia conferita efficacia alle disposizioni censurate”.

3.2. Ne consegue che l’art. 11, co. 5, l.r. n. 20/03, come promulgato e vigente, privo di quell’inciso, importa che l’incarico di dirigente generale non può essere attribuito ai dirigenti di terza fascia, categoria avverso cui si incentravano specificatamente i rilievi del Commissario.

Né tale esegesi può dirsi inficiata dall’ultimo periodo del co. 5, a’ sensi del quale “La distinzione in fasce non rileva ai soli fini del conferimento dell’incarico di cui al presente comma”, su cui si concentra la difesa dei ricorrenti (vd. pag. 23 della memoria del 3 marzo 2014). In un’interpretazione logica complessiva della disposizione, che tenga conto anche del suo iter, tale periodo può riferirsi solo ai dirigenti di prima e seconda fascia, quest’ultimi non incisi dall’intervento del Commissario dello Stato (anche se in effetti non più contemplati espressamente dal testo come promulgato, ma pur sempre menzionati nel co. 4 dell’art. 9 l.r. n. 10/00), la cui posizione comunque non viene in rilievo nel caso in esame.

3.3. Il ricorso è, quindi, inammissibile per carenza d’interesse, essendo stati i ricorrenti, quali dirigenti di terza fascia, illegittimamente scrutinati e non potendo aspirare, neanche in caso di riedizione del potere, al conseguimento dell’incarico per il quale è vertenza.

3.4. Siffatta inammissibilità colpisce ovviamente non solo la pretesa impugnatoria, ma anche quella risarcitoria, che peraltro sarebbe già tendenzialmente incompatibile con la domanda di annullamento così come articolata.

Ed infatti, per un verso, l’annullamento dell’atto presupposto, supportato da un preteso interesse solo oppositivo, si sarebbe posto già come integralmente satisfattivo della pretesa, giacché l’amministrazione avrebbe dovuto rinnovare la procedura conformandosi alle prescrizioni contenute in sentenza; per altro verso poi, i due ricorrenti, quali dirigenti di terza fascia, non hanno titolo a lamentare danni risarcibili, quali perdita di chance o danni all’immagine (in ipotesi neppure in via autonoma, se pure la domanda di annullamento la si volesse qualificare subordinatamente come mera domanda di accertamento dell’illegittimità dei provvedimenti impugnati), non potendo in ogni caso aspirare all’incarico di Segretario generale.

Per tutto quanto esposto il ricorso è, nel suo complesso, inammissibile.

4. Il collegio ritiene opportuno dar conto anche di un’altra eccezione di inammissibilità, connessa alla irrituale notificazione dei motivi aggiunti, che viene esaminata per la sua stretta correlazione con il percorso argomentativo sin qui svolto.

4.1. Col ricorso principale è stato chiesto di “annullare i provvedimenti impugnati e condannare i convenuti al risarcimento dei danni morali e di perdita di chance in favore dei ricorrenti”. I due ricorrenti hanno cioè fatto leva sullo strumento impugnatorio, supportato dall’interesse strumentale e oppositivo di cui si è detto, unendovi una domanda risarcitoria.

Analoghe richieste hanno poi svolto coi motivi aggiunti, aventi ad oggetto la deliberazione della Giunta Regionale n. 49 del 5 febbraio 2013, adottata dal neo eletto Presidente della Regione ai sensi dell’art. 9, co. 3, l.r. n. 10/00, di conferma dell’incarico già conferito alla dott.ssa Monterosso con deliberazione n. 248/12.

Anche rispetto ad essa i ricorrenti, coi motivi aggiunti, hanno manifestato il proprio interesse oppositivo, specificando che la conferma del predetto incarico, quale atto consequenziale degli atti presupposti impugnati con il ricorso introduttivo, deve essere annullato congiuntamente a questi, con richiesta di risarcimento dei danni.

4.2. Il ricorso per motivi aggiunti non è stato però introdotto ritualmente, essendo stato notificato personalmente alla controinteressata anziché presso il procuratore costituito, come invece prescritto dal comb. disp. artt. 43, co. 2, c.p.a. e 170 c.p.c.. La controinteressata non si è costituita avverso il nuovo ricorso, limitandosi nella memoria sul ricorso principale, predisposta in vista dell’udienza pubblica, ad evidenziare l’irritualità della notificazione, senza accettare il contraddittorio, il che esclude che l’atto abbia comunque raggiunto lo scopo cui era diretto.

È vero che, secondo una condivisibile esegesi, nel processo amministrativo, ed in particolare nel rito ordinario, a tale irritualità non consegue necessariamente l’inammissibilità dei motivi aggiunti.

Considerato che la domanda nuova potrebbe essere proposta anche con ricorso separato, notificato evidentemente alla parte personalmente, e potendo poi il giudice provvedere alla riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 70 c.p.a. (art. 43, co. 3, c.p.a.), risulterebbe illogico dichiarare inammissibile un ricorso che, se proposto in via autonoma, poteva essere riunito e deciso con un’unica sentenza, con un esito, dunque, sostanzialmente analogo a quello che si realizza, in termini di concentrazione processuale, con la proposizione di motivi aggiunti.

Ne consegue che il ricorso per motivi aggiunti potrebbe andare indenne dalla sanzione dell’inammissibilità per omessa notifica al procuratore costituito, solo ove presenti i requisiti per essere considerato quale autonomo gravame, spettando sempre al giudice la qualificazione dell’azione (cfr. art. 32 c.p.a.).

Tali requisiti non sono però ravvisabili nel caso di specie: il ricorso per motivi aggiunti è strutturato come puramente accessorio ed incidentale, articolato con un generico richiamo al contenuto del ricorso originario. Mancando di un’esposizione sommaria dei fatti, ma soprattutto di motivi specifici di doglianza, esso, in base al disposto dell’art. 40 c.p.a., è inammissibile (pure) come ricorso autonomo.

4.3. Né – si aggiunge per completezza espositiva, nulla avendo sul punto dedotto la difesa di parte ricorrente – si può ipotizzare la natura di atto consequenziale o meramente confermativo della nuova delibera di Giunta, sicché potrebbe sostenersi che l’impugnativa avrebbe natura solo cautelativa e permanga (ove esistente, il che si è escluso) l’interesse sotteso al ricorso principale, discendendo dall’annullamento della deliberazione con esso impugnata, come effetto automatico, la caducazione della deliberazione assunta dalla nuova Giunta.

Proprio la speciale ratio sottesa all’art. 9 l.r. 10/00 ed in particolare al co. 3, ossia il complesso ed eccezionale sistema dello spoil system per i dirigenti delle strutture di massima dimensione, con le peculiari valutazioni ad esso sottese, porta ad escludere che l’atto della Giunta abbia natura meramente confermativa o consequenziale.

4.4. L’inammissibilità dei motivi aggiunti, che di per sé supera ogni altra questione preliminare eccepita da controparte, compresa quella sulla giurisdizione, comporterebbe comunque l’improcedibilità del ricorso principale per sopravvenuta carenza d’interesse (ammesso – si ribadisce – che esista ab origine un interesse a ricorrere), risultando gli atti impugnati ormai superati dalla deliberazione n. 49/13, non ritualmente impugnata.

5. La novità e complessità delle ragioni poste a base della presente decisione giustificano la compensazione integrale delle spese della lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 16 aprile 2014 con l’intervento dei magistrati:

Filoreto D’Agostino, Presidente

Caterina Criscenti, Consigliere, Estensore

Maria Cappellano, Primo Referendario

 

 

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 15/05/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 


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