Dieci anni di UniCt in Zimbabwe in 40 foto «Bel progetto, ma l’ateneo non dà una lira»

«Dieci anni fa in Zimbabwe l’incidenza dell’Hiv era del 23 per cento. Cioè, ogni cento abitanti ce n’erano 23 infettati. Oggi la percentuale è scesa al 14 per cento. Non dico che il merito sia solo del nostro lavoro. A contribuire a cambiare quel dato c’è il fatto che molti di quei malati in questi anni sono morti e che nel Paese sono arrivati numerosi aiuti internazionali. Però dal nostro arrivo tutte le donne con l’Hiv vengono curate e i bambini trattati. Il risultato è che da un paio di anni nel nostro ospedale non nasce più un bimbo sieropositivo». Luciano Nigro fa il medico ed è ordinario di Malattie infettive all’università di Catania. Sei mesi l’anno li passa coi suoi pazienti nel capoluogo etneo, gli altri sei mesi fa lo stesso nel distretto africano di Mutoko dove lavora nell’ospedale intitolato alla dottoressa Luisa Guidotti, rimasta uccisa in Zambia nel 1979.

In Zimbabwe, Nigro è il responsabile del programma di terapia antiretrovirale e di prevenzione della trasmissione materno-infantile dell’infezione da Hiv, nato nel 2004 a seguito di un accordo tra la scuola di specializzazione di Malattie infettive, il dipartimento di Biologia molecolare dell’ateneo e l’ospedale Guidotti. Eppure dagli uffici del rettorato non sono mai arrivati fondi. A finanziare parzialmente il programma è la Lega italiana per la lotta contro l’Aids che, dieci anni fa, ha promosso ad hoc il progetto Susy Costanzo, dal nome di una delle fondatrici della sezione catanese dell’associazione. Per ripercorrere il lavoro dei medici, oggi alle 17 al Palazzo della cultura la Lila inaugura Volti di Mutoko, faces of a place, una mostra di 40 fotografie scattate dagli operatori sanitari che prestano servizio in quella regione dell’Africa sud-orientale.

«L’accordo con l’ospedale zimbabwese è nato quando si è resa evidente la necessità di trattare le persone affette da Hiv in questi Paesi, e prevede uno scambio di personale con la scuola di specializzazione. Gli scopi sono di formulare le linee guida per la cura delle malattie della zona e di avviare percorsi di ricerca», spiega il docente. L’ospedale Guidotti, nato come missionario e fondato dalla diocesi di Rimini, «è stato il primo ad ospitare un programma di terapia antiretrovirale in Zimbabwe». Programma che l’università di Catania ha accolto ma che non ha mai sovvenzionato: «Beh, io vado lì e mantengo il mio stipendio – spiega Nigro – come gli specializzandi mantengono la loro borsa di studio». Oltre a questo, però, non arriva nient’altro.

«I ragazzi vengono a lavorare sulla tesi finale, per loro è importante fare un periodo di formazione in un ambiente tropicale in cui si sviluppano varie patologie – continua il docente – Senza escludere che acquisiscono le competenze per trattare con persone di altre nazioni e imparano un approccio mentale aperto». I medici in fase di specializzazione passano in Africa tra i due e gli otto mesi, «svolgono ricerche che abbiano ricadute positive sulla comunità locale». Per esempio «capiscono dove si sviluppa un fenomeno virale, cercano le cause e poi tentiamo di verificarle, il tutto per migliorare i servizi che offriamo e la sanità di base».

Ai semplici studenti di Medicina, però, questo percorso è precluso: «Visto che l’ateneo non fa proprio questo progetto, i ragazzi devono pagarsi il viaggio, l’assicurazione, le spese. E io non è che posso portare in Zimbabwe quelli a cui i genitori possono pagare tutto, mentre quelli che non se lo possono permettere stanno a casa». Certo, secondo Luciano Nigro, le colpe non sono solo da imputare all’Università: «Da parte mia non sono stato abbastanza bravo a richiedere e ottenere finanziamenti dall’Unione europea, ci ho sempre tentato ma non ne ho mai vinto uno – racconta – Però la facoltà non ha mai investito una lira». Eppure gli studenti, anche tramite i loro rappresentanti, hanno chiesto in passato il supporto dell’amministrazione universitaria. «Le risposte sono sempre state vaghe e ormai siamo tutti scoraggiati, ma ritenteremo».

Per organizzare un buon corso di formazione in Zimbabwe che coinvolga almeno una trentina di studenti catanesi il professore stima che servano circa 100mila euro, «che permetterebbero di aprire un dialogo tra l’ateneo e l’università dello Zimbabwe e magari ottenere altri finanziamenti ancora». A beneficiarne, oltre che gli universitari, sarebbero i mille pazienti in trattamento all’ospedale Guidotti, metà dei quali sono donne e duecento bambini. «Ogni anno vengono curate e partoriscono da noi circa 150 donne, e con le nostre terapie riusciamo a evitare che il virus dell’Aids si trasmetta di madre in figlio».

Nonostante i costi altissimi da sopportare: «I farmaci più cari sono quelli per la cura dell’Hiv». Per quelli si spendono circa 50 dollari al mese che vanno moltiplicati per dodici mesi e per mille pazienti. «E poi c’è tutto il resto: una radiografia costa all’ospedale venti euro, un emocromo cinque euro». Senza gli aiuti umanitari, in Zimbabwe quasi nessuno potrebbe curarsi. «Circa il 60 per cento della popolazione non può permettersi di pagare l’assistenza sanitaria di cui ha bisogno, e l’Hiv peggiora l’incidenza di altre malattie». Perché attacca il sistema immunitario e rende più facile «ammalarsi di tubercolosi o di forme gravi di malaria».

Per descrivere questa realtà, gli scatti in mostra in Volti di Mutoku, faces of a place hanno scelto i sorrisi dei bambini e la vita quotidiana. «Le foto le abbiamo fatte tutte noi – precisa Luciano Nigro – Raccontano quello che fa la gente lì, tutti i giorni, senza lacrime». Gli scatti saranno in esposizione al Palazzo della cultura fino al 15 giugno. E il 6 giugno alle 20 la Lila sarà al teatro Coppola con una serata di intrattenimento dal titolo Ti racconto i dieci anni del progetto Susy Costanzo.


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Era il 2004 quando la scuola di specializzazione di Malattie infettive e il dipartimento di Biologia molecolare hanno preso accordi con l'ospedale Luisa Guidotti, nel distretto africano di Mutoko, per mandare lì medici e specializzandi a curare l'Hiv. Adesso, una mostra che sarà inaugurata oggi pomeriggio al Palazzo della cultura racconta quel Paese. Ma Luciano Nigro, coordinatore del programma umanitario, non lesina le critiche: «L'università non ci finanzia, non ci chiedono neanche quello che abbiamo fatto»

Era il 2004 quando la scuola di specializzazione di Malattie infettive e il dipartimento di Biologia molecolare hanno preso accordi con l'ospedale Luisa Guidotti, nel distretto africano di Mutoko, per mandare lì medici e specializzandi a curare l'Hiv. Adesso, una mostra che sarà inaugurata oggi pomeriggio al Palazzo della cultura racconta quel Paese. Ma Luciano Nigro, coordinatore del programma umanitario, non lesina le critiche: «L'università non ci finanzia, non ci chiedono neanche quello che abbiamo fatto»

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