Diciotti, oltre tremila per l’appello di Fava a Mattarella Da M5s e destra siciliana presa di distanza da Salvini

Sono già oltre tremila le sottoscrizioni alla lettera-appello lanciata 12 ore fa dal presidente dell’Antimafia regionale, Claudio Fava, dal medico Pietro Bartolo, dall’ex sindaco di Lampedusa, Giusy Nicolini, e dal giornalista Francesco Viviano. Una missiva in cui i quattro si rivolgono al presidente della Repubblica, chiedendo di intervenire sul caso della nave Diciotti. «Quattro giorni fa – si legge – una nave della marina militare italiana ha soccorso 177 migranti naufragati su un barcone partito dalle coste della Libia. Da quattro giorni la nostra guardia costiera è in rada davanti all’isola di Lampedusa aspettando l’autorizzazione per poter rientrare in porto. Da quattro giorni si moltiplicano voci fuori controllo di ministri italiani che minacciano di ordinare al comandante della nave il rimpatrio forzato in Libia dei naufraghi, pur sapendo che si tratterebbe di una clamorosa violazione delle convenzioni internazionali, firmate dal nostro Paese, che impediscono i respingimenti in porti considerati non sicuri». Secondo i quattro, «impedire che una nave della nostra marina militare porti a termine una missione di dovuto soccorso rappresenta un vulnus istituzionale e civile che chiama in causa, e mette in discussione, le sue prerogative come capo dello Stato e comandante in capo delle forze armate».

«Le chiediamo – prosegue la lettera, divenuta in poche ore virale sui social – di intervenire, e di pretendere che la guardia costiera possa attraccare a Lampedusa, non solo per sentimento di umana solidarietà ma per evitare che un eventuale respingimento in Libia pesi come un’onta irrimediabile non solo su chi l’ha autorizzata ma sull’intero paese. Ci permettiamo di sollecitarle un intervento, proprio sapendo che queste sono ore difficili e che più volte Ella si è richiamata al sentimento unitario e responsabile degli italiani come prima risposta al dramma di Genova. Ma rigettare 177 esseri umani nell’orrore delle carceri libiche sarebbe un dramma non meno grave, frutto di una scelta politica alla quale le chiediamo di opporre la sua fermezza, le sue prerogative e il suo rifiuto».

Una vicenda, quella Diciotti, sulla quale la procura di Agrigento ha aperto un’inchiesta «che tende – si legge nella nota del procuratore Luigi Patronaggio – oltre a individuare scafisti e soggetti dediti al favoreggiamento della immigrazione clandestina, tende altresì a conoscere le condizioni dei 177 migranti superstiti a bordo della predetta unità navale militare». Ma se i quattro promotori della lettera fanno della vicenda un caso istituzionale, mentre la Procura agrigentina indaga, il mondo politico siciliano ancora una volta si spacca. L’assessore regionale alle Autonomie Locali ed esponente di Forza Italia, Bernadette Grasso, pur manifestando una posizione critica di carattere generale rispetto alla gestione dell’accoglienza negli ultimi anni – «non nascondiamoci dietro un dito, molti hotel che in Sicilia stavano per chiudere hanno visto nella gestione dei migranti un nuovo business e non è questo il modo di affrontare i flussi migratori» – sul caso specifico dichiara: «L’Italia in questo caso non può non aprire il proprio porto, è una questione di coscienza. Si facciano scendere quelle persone a Lampedusa, si facciano i controlli sanitari e si alimentino e poi se qualcuno non ha le carte in regola per restare, allora il ministro Salvini avrà tutti gli strumenti per rimandarlo a casa».

Ma è dentro il Movimento 5 Stelle che sembra consumarsi lo strappo. Se il deputato pentastellato Giorgio Pasqua sottolinea di non avere «elementi superiori rispetto a quelli in mano al ministero per poter fare una valutazione» e si dice invece sicuro che «al governo nazionale sanno cosa fare», è il collega Giampiero Trizzino ad alzare il tiro, dichiarando che «l’accoglienza dei migranti è un tema che l’Europa deve affrontare unita e l’Italia è sempre stato un valido esempio per i Paesi membri. Sono certo che anche questa volta non sarà da meno. Ogni dichiarazione di senso opposto, da qualsiasi parte provenga – conclude – non appartiene alla nostra cultura».


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