Dentro il Palazzo

Ieri mattina, mentre sui giornali si leggeva dell’occupazione a La Sapienza di Roma, anche a Catania qualcosa si muoveva.
Durante il preannunciato sciopero dei Cobas, a cui hanno preso parte circa duemila tra studenti medi e universitari, professori, precari e genitori, verso le undici un gruppo di almeno 200 manifestanti si è concentrato in piazza Università, davanti al Palazzo Centrale, sede anche degli uffici del Rettorato.
La richiesta era quella di poter svolgere un’assemblea pubblica nel cortile di Palazzo Centrale: la risposta negativa si intuisce subito. La polizia, che per tutto il corteo era stata presente seguendo i manifestanti, si rinforza all’interno e davanti al palazzo, specie quando i ragazzi cominciano a premere.
Un via vai di poliziotti e dipendenti del rettorato lascia intuire che dentro si stia decidendo qualcosa.
Ad un tratto, i portoni vengono chiusi, e la folla esplode. Slogan contro la polizia, contro il Rettore, la Gelmini, e chi più ne ha più ne metta. Quaranta minuti di urla. Minacciano di continuare fino a notte fonda, se non li faranno entrare.
Quando le porte vengono riaperte, i ragazzi formano un cordone davanti all’ingresso: non esce nessuno, e non entra nessuno. Lo scontro con la polizia pare inevitabile, “Ci hanno spintonati, e quindi non è mancato qualche pugno”, dice un manifestante, “ma anche calci”, gli fa eco un altro.
Una madre si lamenta del trattamento subito da lei e dal figlio disabile: «Sto manifestando pacificamente per i diritti di mio figlio – racconta – e ho chiesto di poter entrare perché eravamo spintonati». I manifestanti avevano bussato a lungo per farli passare, ma madre e figlio sono riusciti ad entrare solo quando il portone è stato aperto a metà. Alle lamentele della donna risponde un’altra donna: «Non si porta un disabile ad una manifestazione del genere» dice. La madre del ragazzo prova a controbattere ma, in risposta, riceve un gesto eloquente della mano che segue una frase: «Vada piuttosto a farsi una passeggiata».
 

Due rappresentanti dei sindacati di base entrano nel palazzo e chiedono udienza al Rettore, Antonino Recca. Teresa Modafferi, responsabile provinciale dei Cobas scuola, ci racconta che hanno firmato una dichiarazione, in cui si assicurava che l’assemblea sarebbe stata pacifica e non avrebbe disturbato il normale svolgimento delle attività. A quel punto i manifestanti hanno riempito il cortile.
 
“Abbiamo chiesto una semplice assemblea, in un luogo di grande importanza simbolica: è la sede della cultura, di cui dobbiamo riappropriarci”, spiega Modafferi. “Noi studenti che paghiamo le tasse, dobbiamo poter entrare, è un nostro diritto”, esclamano gli universitari che la circondano.
 
A turno, ogni rappresentante dei gruppi presenti impugna il megafono. Mentre la polizia – almeno una trentina gli agenti – rimane a pochi passi dalla folla.
Molti i presenti aderenti al Comitato degli insegnanti di sostegno, un gruppo attivissimo comprendente anche tanti precari. Uno di loro, Giacomo Cacìa, riguardo alla recente notizia secondo cui la popolarità del ministro Gelmini è in continua ascesa, precisa: “Questo accade perché la stampa si ostina a definire il suo lavoro ‘riforma’. Ma è un taglio assassino alla scuola italiana. Per quanto riguarda poi il maestro unico, be’, la scuola elementare italiana è al quinto posto in Europa per efficienza”. Forse così male non andava, insomma.
Un altro insegnante, Cosimo Costa, ci racconta che due distretti di Adrano hanno organizzato una manifestazione a cui hanno partecipato 400 persone. «Su 150 insegnanti che hanno chiesto dei permessi solo in sette si sono presentati alla manifestazione» dice. Costa si lamenta del disinteresse degli stessi docenti: «Gli insegnanti di ruolo non considerano questa situazione un loro problema – quando, anche solo in quanto genitori, dovrebbero occuparsene – e i precari non partecipano. Dobbiamo rendere cosciente l’opinione pubblica di quello che è un vero e proprio problema sociale».
Il sostegno allo studio per gli studenti disabili, per esempio, è ancora un problema irrisolto. Una professoressa racconta di come la madre di un ragazzo autistico sia stata fermata fuori dalla scuola da alcuni professori per spiegarle che l’istituto non era più in grado di accogliere suo figlio.
 
Anche gli studenti hanno molto da dire. Un ragazzo del Liceo Scientifico Boggio Lera parla con una sua insegnante del problema dell’informazione. «Occupare per noi non significa sospendere le lezioni – dice il giovane – non è fermarci e non fare nulla, noi vogliamo creare un sistema di controinformazione per bilanciare l’ammasso di politically correct con cui ci bombardano ogni giorno». L’insegnante sostiene che è necessario creare prima un’opinione pubblica che sia interessata alla controinformazione. Il ragazzo risponde che è un atteggiamento che dovrebbe partire dalla scuola «ma se non accade, l’unico modo per noi è autogestire l’informazione». Lo studente ricorda anche una lettera mandata due anni fa dai ragazzi del Boggio Lera al quotidiano La Sicilia: «La nostra lettera – racconta – è stata stravolta. Incollando solo alcune parole prese qua e là hanno cambiato totalmente il significato del nostro messaggio. Non è così che si informa la gente».
 
Un commento più sereno ci giunge da un altro membro del comitato, Claudia Urzì, soddisfatta della riuscita della manifestazione. “E’ stata una grande vittoria, come educatrice mi sento gratificata dal vedere gli studenti che scendono in piazza per difendere la scuola. Significa che stanno affrontando la cosa con spirito critico”.
Verso le tredici, la folla scema, e il silenzio ritorna al Palazzo Centrale. Finisce l’assemblea, ma non le proteste. Si attende ancora lo sciopero del 30 ottobre, e si pensa ad una assemblea cittadina per giorno 24.
 
Tutti i i video sono stati girati con un telefonino dal nostro redattore Claudio Colombrita e potete trovarli nella nostra pagina su Youtube.

Valeria Giuffrida

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